Della Rosa: "Accabadora, storia d’amore"

L’attrice per due giorni all’Arena del Sole con un monologo tratto dal romanzo di Michela Murgia, che alle 18.30 presenta il suo ultimo libro

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Una storia d’amore fra una madre e una figlia. Quasi una fiaba senza tempo sul diventare adulti e un mondo "di emozioni calde", "con i profumi del mirto e della Sardegna". Ci sono tanti colori in scena e nel racconto di Anna Della Rosa, anima de l’Accabadora, lo spettacolo tratto dal romanzo di Michela Murgia (che vinse il Campiello e SuperMondello) che stasera (alle 20.30) e domani (alle 19) approda all’Arena del Sole. Le pagine sono trasformate in un monologo che la regista Veronica Cruciani ha affidato all’intensità di Della Rosa e alla drammaturga Carlotta Corradi. In occasione dello spettacolo (coproduzione Savà srl, TPE – Teatro Piemonte Europa ed ERT Teatro Nazionale), stasera alle 18.30 il teatro ospita proprio la scrittrice sarda per la presentazione del suo ultimo libro God Save the Queer. Catechismo femminista (Einaudi). Della Rosa– che si divide in tanti progetti, dalla ragazza curdo-siriana de L’angelo di Kobane, all’Orestea e Cleopatràs ("sto studiando parecchio, la mente è allenata") –, porta per mano lo spettatore nel mondo di Maria, che a sei anni viene affidata a Bonaria Urrai come fill’e anima, una forma di adozione concordata tra il genitore naturale e quello adottivo. La donna vive sola, fa la sarta e all’occorrenza è anche accabadora, aiutando quindi le persone in fin di vita ad andarsene.

Della Rosa, come si trasporta un libro così famoso sul palco?

"Quando ho letto la riduzione sono rimasta rapita: anche Michela l’ha definita una ’espansione’ del suo romanzo. Conserva tanti ingredienti intimi, ma universali. Ci sono dolore, dolcezza, personaggi quasi archetipici, ma domestici. La cosa più bella di questo spettacolo è che ho ritrovato la fiamma di amore del romanzo. Inoltre, Michela è stata di grande gentilezza e calore quando l’ho incontrata prima delle prove perché mi aiutasse con l’accento".

Lei è sola sul palco.

"Ripercorro l’infanzia donatami da questa madre adottiva: prima di allora ero la quarta figlia, né amata né valorizzata. Attraverso il monologo vedremo fiorire sul palco un’infanzia risorta e segnata dalla scoperta che la Tzia amatissima è un’Accabadora. Il pubblico si emoziona perché alla fine si racconta di come si diventa adulti, dei rapporti con i nostri genitori. Crescere è comprendere la complessità delle situazioni e stare nelle esperienze. Soprattutto ora è bello poterlo raccontare".

I temi attuali sono tanti.

"Si parla di famiglie non di sangue ma di elezione, di cosa significa dare la vita e la morte. Le accabadore, che oggi non ci sono più, erano anche levatrici. La storia non ha i toni della cronaca, ma tratta del quotidiano. E ha note molte delicate, c’è tanto amore".

Lei si dedica principalmente al teatro, ma al cinema ha lavorato con Paolo Sorrentino, proprio ne ‘La Grande Bellezza’.

"Un’eccezione eccezionale. Sorrentino è un artista, le sue sceneggiature sono capolavori. Lavorare con lui è stata una festa: il set era mirabolante, ma organizzato in modo così eccellente, che sembrava di stare fra amici. E poi ho avuto la fortuna di lavorare con un attore fantastico e gentile come Verdone".

Letizia Gamberini

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