Cattivi pensieri: Nettuno, il dio del mare furioso

di Cesare Sughi Invia la tua foto con il Nettuno o un breve pensiero a fotolettori@ilcarlino.net LA GALLERY: Ecco le vostre foto VIDEO: L'appello di Cremonini IL NOSTRO SPECIALE Salviamo il Gigante Vuoi contribuire subito? Clicca qui per donare online con carta di credito o Paypal

La fontana del Nettuno

La fontana del Nettuno

Bologna, 27 marzo 2015 - Poiché gli dèi, pur guardandoci dall’alto, partecipano delle nostre passioni – dall’invidia all’amore, dalla vendetta all’ira –, si può ben immaginare quante e quante volte il nostro  Nettuno (il nostro speciale 'Salviamo il Gigante') si sarà scocciato a vedersi trattato così. E così come? Praticamente abbandonato. Lasciato lì, solo come un verme, e per di più nudo, esposto alle battutacce di tutti e ai calci dei tifosi impegnati a scalarlo per vestirlo con i colori della loro squadra vittoriosa. Lasciato lì, quasi fosse diventato invisibile, dopo lo spettacolare restauro a regola d’arte e di scienza condotto, tra il 1988 e il ’90, da Giovanni Morigi e Ottorino Nonfarmale. Insomma, si sarà chiesto il Gigante, di quale colpa si era mai macchiato – forse una tardiva riprovazione per il suo esibizionismo? – perché nessuno, a lavori finiti, si occupasse più della sua pelle sconciata dalle cacche dei piccioni, dei danni provocati dall’inquinamento, dei dolori che, con l’umidità, tornavano a tormentargli la gamba sinistra. 

E oltre tutto, il figlio del Giambologna, che lo fuse frettolosamente e lo piazzò in piazza nel 1567, si infuriava a vedersi issato su una fontana un tempo prestigiosa e via via ridotta a una vasca sbrecciata, un tempo animata da 90 zampilli, e via via ridotta a un rettangolo senz’acqua e senza decoro. Roba incredibile. Disattenzione? Disinteresse della città ufficiale? Negligenza? Faciloneria? Incuria certamente sì. Eppure, le cose sono andate davvero così, come se voi teneste in casa per 25 anni una lampada rotta in salotto senza pensare di aggiustarla. La raccolta di fondi per fermare la mortificante decadenza di una delle immagini di Bologna nel mondo ha dietro di sé questa storia amara. E, davanti, ha l’intenzione duplice di colmare le spese necessarie alla cura e di stabilire un punto fermo per il futuro.

Non è ragionevole affermare che all’amministrazione comunale sono mancati i soldi per intervenire. La crisi, mi pare, data da sette, otto anni. Prima i soldi c’erano, o no? Tanto che, all’inizio del 2001, si arrivò vicino a mettere in moto una manutenzione che sarebbe costata poco più di 100 milioni di lire e che si incagliò nel gelido rigore della burocrazia.

Il fatto è che in tutto il Paese il degrado dei beni culturali – che non è nato ieri – discende, al di là dei proclami sull’Italia Bella e la Bella Bologna, dalla mancanza di operatività e dall’incapacità di agire prima che si sia creata l’emergenza. Giusta, solidale e sussidiaria – se vi è chi ha l’autorevolezza e il credito di mobilitarla – la discesa in campo dei cittadini. Dal basso, non dall’alto dove molto spesso si collocano sponsorizzazioni mirate prima di tutto a un ritorno di pubblicità. Il cantiere della basilica di San Petronio, alla fine del ’300, partì e si resse sui denari impegnati non dagli ecclesiastici, ma dalla borghesia artigiana e mercantile, e persino da una tassa applicata ai condannati che ricevevano la grazia. E fu così che l’opera incompiuta dell’architetto Antonio di Vincenzo divenne il vero tempio della città, della ‘civitas’ e del suo protagonismo.

Pubblico e privato sono, nell’ex capitale rossa, mondi che dialogano a fatica, e si perdono in dibattiti di pura accademia. Basterebbe, forse, seguire le parole dello storico dell’arte Salvatore Settis, quando rivendica «il valore identitario del patrimonio, e anzi la sua stretta necessità per una qualità della vita che si traduce anche in motivazione profonda del ruolo di cittadino». È una frase da non dimenticare. Specie per far sì che il progetto Gigante Risanato preveda, nero su bianco, la scadenza del prossimo check-up. Non fosse così, il Nettuno si infurierebbe davvero. E con il dio di tutte le acque abbiamo già scherzato abbastanza.

di Cesare Sughi

 

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