Bologna, droga al Pilastro: 36 nei guai. Anche la famiglia a cui citofonò Salvini

Traffico di coca e hashish: chiusa l’indagine partita dall’omicidio Rinaldi, entro l’anno la preliminare

La citofonata al Pilastro di Salvini fatta a gennaio 2020 prima del voto per le Regionali

La citofonata al Pilastro di Salvini fatta a gennaio 2020 prima del voto per le Regionali

Bologna, 30 settembre 2022 - Dall’omicidio di Nicola Rinaldi, la Mobile, diretta dalla Direzione distrettuale antimafia, scoperchiò il pentolone. Zeppo di droga, spaccio, intimidazioni nel cuore del quartiere Pilastro. I numeri non mentirono: trentasei indagati, venticinque misure disposte a vario titolo per spaccio e associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina e hashish. Ora quell’inchiesta è ’sigillata’ ed è pronta la richiesta di rinvio a giudizio che sarà discussa entro l’anno.

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E nella lista figurano nomi notissimi alle cronache, a partire dai componenti della famiglia Labidi. Ricordate lo "Scusi, lei spaccia?", la frase del leader del Carroccio, Matteo Salvini, pronunciata al citofono della famiglia Labidi in via Deledda che creò un polverone politico a pochi giorni dalle ultime Regionali? Faouzi Ben Ali Labidi, padre di Yassin ’Yaya’, e la madre Caterina Razza, con l’altro figlio Mohamed finirono tra la Dozza e i domiciliari (la donna indagata a piede libero). Il primo, in concorso con Yaya, "acquistava un chilo di hashish per un valore di 3.850 euro" da Eddine Jamal, altro componente del sodalizio, per poi commercializzarlo. Verso il processo anche Elisa Rinaldi, 42 anni, sorella di Nicola, ritenuta uno degli elementi di spicco. Compagna di Oert Mustafaj, 46 anni albanese, era lei a gestire, mentre l’uomo era in carcere (per il tentato omicidio, nel 2013, di un ragazzo, a cui aveva sparato a seguito di una banale lite nata in un centro scommesse) i contatti con i fornitori e i clienti. Una rete di cui si occupava, sempre stando alle accuse, con il figlio Monir Samia. Alla Dozza finì anche il cognato, Salah Eddine Karmi, marocchino di 39 anni, "vero e proprio promotore, vertice e organizzatore del gruppo", il quale avrebbe gestito "in prima persona tutte le fasi dell’illecita attività di narcotraffico portata avanti in forma associativa". Lui, insieme all’altro "promotore" Oert Mustafaj, "anche durante il periodo di detenzione alla Dozza, concorreva alla gestione dello spaccio e all a concreta realizzazione del pactum sceleris ". Fornendo, insieme alla Rinaldi, "indicazioni operative" e premurandosi di "salvaguardare la direzione e il mantenimento in vita del sodalizio", procacciando al "gruppo dei clienti secondo accordi stretti in cella".

L’inchiesta partì ad agosto 2019 dopo la morte di Nicola Rinaldi, all’epoca ventottenne, ucciso sotto casa, in via Frati, dal vicino di casa Luciano Listrani poi condannato a 12 anni in abbreviato. Dalle indagini emerse presto il motivo del delitto: la vittima doveva riscuotere i proventi dell’attività di spaccio portata avanti dal genero dell’assassino, in ritardo coi pagamenti. I poliziotti della Squadra mobile, riuscirono a ricostruire tassello dopo tassello, ruoli e gestioni della piazza pilastrina. Dove, stando agli accertamenti, venivano movimentati ogni mese almeno 2,5 chili di cocaina e una decina di hashish. Per un guadagno, per la famiglia, di circa 50mila euro al mese solo per la coca. Carichi di droga che venivano nascosti anche nelle cantine di cittadini estranei ai fatti di spaccio. La coca veniva acquistata dai Rinaldi a 30 euro il grammo e rivenduta ai grossisti a 50. Ai pesci piccoli, che si occupavano di spaccio al dettaglio, a 80 euro. Nei guai finirono anche sei ragazzini, tra i 15 e i 17 anni, che si occupavano del piccolo spaccio nel quartiere. "Il sodalizio – commentò il questore Isabella Fusiello – manteneva le piazze con l’intimidazione. E la cosa che fa specie è che venivano utilizzati anche dei minorenni, di seconda generazione, per spacciare".

 

 

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