Tanti anni di processi, altrettanti di polemiche. Quella dei Nar e della strage di Bologna è una storia processuale lunghissima su cui non si è mai spento, nonostante le condanne (alcune anche definitive), lo scontro politico. Il caso di Marcello De Angelis è solo l’ultimo di una lunga serie. Ma su cosa poggiano le sentenze che hanno condannato all’ergastolo gli ex terroristi dei Nuclei armati rivoluzionari? Partiamo dall’inizio, dai processi degli anni ’80 e ’90, quelli che hanno segnato il destino di Giuseppe Valerio Fioravanti e della moglie Francesca Mambro. Sono stati loro i primi ad essere condannati come esecutori materiali della strage e il verdetto è diventato definitivo nel 1995. Nel 2007 è poi arrivata la condanna a 30 anni per Luigi Ciavardini, processato dal tribunale dei minori perché all’epoca 17enne.

A carico della ’coppia nera’, Giusva e Francesca, legati nella lotta armata e nella vita, tuttora uniti anche dopo aver scontato la pena ed essere tornati in libertà, ci sono elementi ritenuti granitici dai giudici ma contestati da esponenti di ambienti di destra e anche di sinistra.
Il primo è la testimonianza di Massimo Sparti, un criminale comune vicino alla Banda della Magliana, il quale raccontò che Fioravanti e la Mambro si presentarono a casa sua il 4 agosto 1980 per chiedergli dei documenti falsi. Giusva disse poi la celebre frase: "Hai visto che botto". Una confessione, secondo i giudici. I Nar hanno però sempre smentito il racconto di Sparti e anche il figlio dello stesso Sparti, Stefano (morto suicida di redente), ha smentito il padre.
A carico dei Nar c’è poi la mancanza di un alibi. Giusva e Francesca hanno sempre sostenuto di essere stati a Treviso nei giorni precedenti la strage, assieme a Ciavardini e Gilberto Cavallini, il quarto Nar condannato all’ergastolo (ma solo nel 2020) come quarto esecutore materiale. Il quartetto ha detto di aver trascorso il 2 agosto a Padova, senza però fornirne prova. Invece per i giudici il commando si spostò dal Veneto il 2 agosto per arrivare a Bologna.
E ancora. C’è la telefonata che Ciavardini fece all’allora fidanzata per dirle di rimandare il viaggio da Roma a Venezia in programma il 1° agosto 1980. Per i giudici, lo fece perché sapeva bene ciò che stava per accadare. Altro elemento importante, secondo la corte, è l’omicidio di ’Ciccio’ Mangiameli, ucciso da Fioravanti perché i Nar temevano che potesse parlare. Infine, le sentenze parlano di una "grande mole di prove" composta anche da una serie di documenti sulla "linea politica che propugnava la disintegrazione del sistema".
Gli interessati, però, pur avendo ammesso altri omicidi hanno sempre respinto con tutte le loro forze la responsabilità della bomba alla stazione.
E come loro si dichiara estraneo il quarto uomo, Cavallini, assolto per la strage negli anni ’90 ma condannato nel 2020 dopo una rilettura degli atti, visto che il 2 agosto era con gli altri Nar e questa circostanza è sempre stata pacifica. Su Cavallini è attualmente pendente l’appello.
E arriviamo infine all’ultimo processo, quello a Paolo Bellini e ai mandanti. Bellini, ex primula nera di Avanguardia nazionale, è stato condannato in primo grado come il quinto esecutore materiale, incastrato dal famoso video alla stazione e dalla moglie che ne ha smontato l’alibi. Anche lui si dichiara estraneo. Per i giudici, invece, i Nar e le altre sigle agirono in stazione sotto la regia della P2 di Licio Gelli e dei servizi segreti deviati. Questi ultimi furono i mandanti e finanziatori dell’eccidio, legato alle altre stragi nere degli anni ’70.