E le sere dei biassanòt hanno il fuso di Tokyo

Viaggio nella notte bolognese, ora che i locali chiudono alle 18. Tra chi va a letto "con le galline" e i laureati senza brindisi

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di Giorgio Comaschi

Questa è la cronaca triste di una notte bolognese che finisce alle 6 di sera. La famosa notte bolognese, quella dei biassanòt. Quella in cui non si andava mai a letto, nei bar, nelle trattorie, nelle osterie, quella dei tortellini mangiati in stazione alle 2 di notte. In pratica adesso la notte dura un’ora, perché alle 5 è già buio, poi chiude. Piazza Santo Stefano, il punto di incontro dei vedovi delle osterie di una volta. Chiamato ’reparto geriatria’ per via dei capelli bianchi e di gente che una volta si trovava al bar per parlare di donne e che adesso invece si mostra le analisi e comunica se la prostata va bene o no. Ma lo scazzeggio è uguale. Tavolini distanziati, sguardi disperati da sopra le mascherine, altri aperitivi sparsi qua e là nella piazza, aperitivi iniziati alle 4 e mezza. "Con le galline", come si dice. Tutti ad aspettare le 6 che diventano la brutta copia delle 2 di notte, quando tutti si salutavano perché chiudeva il caffè o la trattoria.

Bologna si adegua. Fuso orario di Tokyo e via. Intanto l’aborto di vecchia osteria notturna si consuma fra una lite sui soldi che doveva dare il governo, Giorgio Bonaga, il ’primario’ di geriatria, che urla con Cantamessi e brandisce la zanetta (non gli serve più perché è conseguenza di una vecchia operazione, ma la tiene lo stesso per brandirla), l’esperto d’arte Pintori che cerca di interpretare i dati appena arrivati ("allora, oggi in Emilia-Romagna meno che in Veneto… Però in Lombardia più 150…") ma nessuno arriva a una conclusione. Il pittore Dim Sampaio che dice: "Tanto i miei orari sono già sballati", la francese Sha (a Bologna per un dottorato di ricerca dalla Sorbona) si alza e va verso un enoteca: "Compro del vino per stasera, dopo le sei è l’unica soluzione", passa Syusy Blady che si ferma e fa: "A me la chiusura non dà noia, sto in casa, a me gli aperitivi fan venire mal di stomaco", l’ex direttore del Carlino Mazzuca si siede o osserva in silenzio la varia umanità di disperati di una notte che non c’è più.

Passa Celso Valli per un ultimo caffè, sta lavorando in studio, lì a cento metri, per il nuovo disco di Vasco. È buio. Il Caffè delle Sette Chiese comincia a tirar su i tavoli, la gente consuma gli ultimi bicchierini arancioni di Spritz. La Silvia, la titolare, mi confessa: "Domenica ho pianto. Perché coi dipendenti che ho, devo fare ambarabàciccìcoccò per decidere chi sta a casa. È uno strazio enorme".

Claudio, il titolare del bar Tabacchi poco più avanti nella piazza, dice che potrebbe stare aperto con la tabaccheria: "Sì, ma la parte bar la dovrei coprire con dei teli. Lascia ben stare. Vado a casa. Tanto per quattro o cinque pacchetti di sigarette in più andare alle 8, non val la pena". Qualcuno si informa sul mio spettacolo saltato al Comunale. Faccio la faccia triste anch’io.

Alle 6 succede tutto in pochi minuti. Si sbaracca. La gente si affretta. Qualche giovane rimane seduto sui muretti della piazza con in mano uno straccio di birra. Si chiude. Sedie impilate. In pratica si va a casa, si mangia un brodino alle 7, si va a letto e alle 4-4 e mezza si è svegli come grilli. Il bar apre alle 5 e allora appuntamento per colazione. Si sbanda in pratica di sette-otto ore. Bologna adesso è così. I biassadè, cioè i masticagiorno. Un gruppo di studenti in mezzo alla piazza, con corone di laurea in testa, vagola cercando un bar per brindare, ma invano. Sono come cavalli scossi. Bonaga brandisce la zanetta verso la Coop. Deve comprare delle zucchine. Citiamo Lucio (che era suo amico di infanzia): "Si spegne la città…con le piazze, i giardini e la gente nei bar…". Buonanotte Bologna.

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