Emidio Clementi: "Al Pratello un'epopea irripetibile"

Il musicista e scrittore, ospite della nostra newsletter, ricorda gli anni ’90 e gli inizi dei Massimo Volume: "Tutti avevano voglia di suonare"

Emidio Clementi

Emidio Clementi

Bologna, 2 marzo 2021 - Negli anni ‘90 aveva vissuto nel cuore delle culture sotterranee cittadine. Con il libro La notte del Pratello (2001), Emidio Clementi , scrittore, musicista con la band di rock d’avanguardia Massimo Volume , che ha realizzato il disco Il nuotatore , ha messo in scena la quotidianità di un gruppo di personaggi che si muovevano ai confini dei consumi culturali. Anche grazie al romanzo, quella strada è entrata nell’immaginario giovanile.

Clementi, lei ha vissuto da protagonista la scena del rock più sperimentale bolognese fin dal disco ‘Stanze’. "Il disco esce nel 1993 ed è il frutto di un periodo di intensa vitalità musicale: Bologna esprimeva tutto il suo potenziale creativo. Sono gli anni della nascita del rap, che avviene proprio qui con l’esperienza del Centro Sociale Isola nel Kantiere. Da lì inizia tutto, noi venivamo dal rock, eravamo cultori delle chitarre, ma fummo travolti da quella ondata: sembrava che tutti avessero voglia di suonare. Ogni giorno qualche amico ti diceva, “Ho appena messo su un gruppo“, “Ho fatto un pezzo hip hop“. Ecco, c’era un senso di comunità, di coesione, il piacere di stare insieme durante il giorno e poi fino all’alba".

Si rimaneva poco a casa. "La vita trascorreva in buona parte nelle sale prove che erano luoghi di incontro, gli amici, i fan, passavano e rimanevano ad ascoltarti. Poi si frequentavano le case occupate, i locali, la musica era il riflesso dell’esistenza. E questo coinvolgeva un numero impressionante di ragazzi. La rivendicazione più pressante nei confronti del Comune era per ottenere più sale prove aperte, perché c’erano talmente tanti gruppi che non bastavano".

In via del Pratello le musiche si sedimentavano. "Non solo le musiche, ma la vita di ogni giorno che le ispirava. Fino ad allora il Pratello era un microcosmo, un paesino dove tutti si conoscevano, non era la via delle cento osterie una affianco all’altra. Era una zona che viveva in disparte. Poi, nelle case occupate, all’inizio eravamo in due e avevamo a disposizione 10 appartamenti, arrivarono tantissimi ragazzi che gravitavano intorno ai centri sociali e la situazione cambiò. Nacquero le canzoni dei Massimo Volume e, dopo, il libro che ho dedicato a quella epopea irripetibile".

Cosa caratterizzava una così forte predisposizione alle produzioni culturali? "Il flusso continuo di esperienze. Bologna era riuscita ad attrarre, grazie in parta alla sua Università, una popolazione giovanile che altrove non c’era. Persone curiose, appassionate di musica e di letteratura. Potevi trascorrere ore a discutere del tuo gruppo di rock progressive ignoto ai più, con qualcuno che invece lo apprezzava moltissimo. Ci si scambiava i dischi, i libri erano patrimonio comune"

Cosa, a suo avviso, è rimasto oggi, di quella atmosfera? "Sono cambiati i tempi, le sale prove praticamente non esistono più, ma la musica è ovunque, ancora più di allora. Solo, è confinata nelle case, i ragazzi la suonano nelle loro camerette, in cuffia; la tecnologia, e adesso il virus, hanno eliminato il piacere dell’improvvisare insieme. Manca il senso della comunità. Ma è rimasta intatta quella visione inclusiva, fatta di relazioni, di voglia di conoscenza".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro