Emma Dante: "Fiabe, racconti onirici e crudi"

La regista, all’Arena del Sole con Scarpette rotte, rivisita la celebre favola di Andersen: "L’etica spiegata al pubblico di domani"

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di Stefano Marchetti

Tutte le sere Emma Dante racconta a suo figlio una favola: "Altrimenti non vuole andare a dormire... E ogni volta devo andare di fantasia, per inventare un racconto nuovo. Sono tutte piccole storie, piccole trame che poi magari finiranno a teatro", sorride la celebre regista palermitana. Ammiratissima per le sue opere teatrali e cinematografiche (in aprile vedremo i suoi Vespri siciliani nel cartellone lirico del Comunale: di recente ha diretto anche i Dialogues des Carmelites che hanno inaugurato la stagione dell’Opera di Roma), Emma Dante ha spesso un approccio tagliente e perfino feroce. Ma in parallelo alle sue creazioni per i ‘grandi’, da diversi anni si ritaglia il tempo per dedicare spettacoli anche ai ragazzi. Come Scarpette rotte, libera rivisitazione delle Scarpette rosse di Andersen (coprodotta da Ert), che andrà in scena all’Arena del Sole domani alle 10 e alle 12, poi alle 17 di sabato 17 dicembre. Celine, una bimba povera, viene adottata da una ricca signora, ma il benessere e i capricci le faranno smarrire i valori più importanti. E le scarpette rosse la costringeranno a ballare fino allo sfinimento.

Signora Dante, cosa la attrae delle fiabe?

"Sono spesso sospese fra una verità cruda, e anche crudele, e una dimensione onirica. Anche i miei film a volte sono come delle fiabe. Nelle favole io vedo la possibilità di raccontare la morale e l’etica a quello che sarà il pubblico di domani".

Come ha affrontato le ‘Scarpette’ di Andersen?

"Tutte le fiabe di Andersen sono spesso dure, parlano della morte bianca per parlare della vita. Sulla trama originale, come in un caleidoscopio, ho voluto inserire anche un altro racconto, la storia delle due scarpette sorelle, brutte e malconce, che vengono regalate a Celine. Sbiadite e bucate, saltano e danzano, finché torneranno rosse e brillanti. Perché la felicità non ha a che fare con la superbia e la vanità".

Quale messaggio possiamo trarne?

"Che non dobbiamo mai dimenticare o rinnegare le nostre origini, anche quando sono disgraziate. Quando si fa il salto, si acquista ricchezza, a volte ci si dimentica da dove si sia venuti". Capita anche oggi?

"Penso ai ragazzi di oggi che con il web hanno accesso a una marea di informazioni, con l’illusione di avere il mondo ai loro piedi. In questo mondo virtuale occorre stare attenti e cauti perché si rischia di perdere il contatto con la realtà. E subentra pure la noia, un’altra brutta bestia".

Lei è considerata regista anche provocatoria. Con i ragazzi utilizza un registro differente?

"Il teatro per ragazzi richiede grandissima responsabilità, come quello per gli adulti: non esiste un teatro di serie A o di serie B. Ovviamente alcuni temi non sarebbero adatti ai ragazzi che non sono ancora preparati ad affrontarli. Il linguaggio dei miei spettacoli per ragazzi è meno aggressivo, meno traumatico, ma non per questo meno diretto".

Perché?

"I giovani hanno l’adrenalina in corpo, si attivano prima, rispetto agli adulti. I grandi vanno (ri)svegliati, i ragazzi vanno soltanto aiutati e stimolati. Con loro è tutto più semplice".

Qual è la fiaba che ama di più? "Sicuramente Pinocchio, il caposaldo, l’acme di tutte di fiabe. E proprio per questo non la farò mai, come Amleto di Shakespeare. Per metterli in scena, dovrei avere qualcosa di nuovo da dire, qualcosa che sorprenda prima di tutto me stessa. Preferisco tenerli come icone".

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