CLAUDIO CUMANI
Cronaca

Eugenio Barba: "Ho sempre la stessa rabbia"

Il padre dell’Odin Teatret sarà all’Arena del Sole da mercoledì con ’Le nuvole di Amleto’. "Gli innovatori? Oggi non ci sono pettirossi..."

A destra Eugenio Barba. Qui sopra e in basso ’Le nuvole di Amleto’

A destra Eugenio Barba. Qui sopra e in basso ’Le nuvole di Amleto’

Torna a Bologna l’ultimo grande padre della scena del ‘900 a cui anche l’università conferì nel ‘98 una laurea ad honorem, il fondatore dell’Odin Teatret, il creatore di quella rivoluzionaria drammaturgia definita Terzo Teatro che continua a segnare i palcoscenici contemporanei. A quasi 90 anni Eugenio Barba insiste nel suo nomadismo artistico, dopo l’addio polemico alla storica residenza danese di Holstebro. L’Odin sarà all’Arena del Sole da mercoledì 14 a domenica 18 con lo spettacolo ospitato a inizio giugno alla Biennale di Venezia. Si intitola ‘Le nuvole d’Amleto’, è interpretato da sei attori-danzatori (tra cui la ‘storica’ Julia Valery) e svela nel sottotitolo (‘dedicato a Hamnet e ai giovani senza futuro’) una forte intenzione poetica. Hamnet era l’unico figlio maschio di Shakespeare morto a 11 anni e molti studiosi si sono soffermati sulla relazione fra di lui e... Hamlet. Barba, perché riscrivere ancora la tragedia di Amleto? Cosa ci può raccontare di nuovo? "Un’esperienza artistica non è interessante per quello che mostra o racconta, ma per la maniera in cui lo fa. In fondo Anna Karenina di Tolstoj è la squallida storia di una donna borghese che tradisce suo marito con un ufficiale vanesio. È lo stile di Tolstoj a trasformarla in un capolavoro. La gente verrà a vedere lo spettacolo non per conoscere chi era Amleto e cosa abbia fatto nella sua vita, ma perché spera di godersi la fantasia degli attori dell’Odin Teatret".

Si è allontanato dalla sua sede storica di Holstebro. Come si sente nomade a quasi 90 anni? "Devo ammettere che è dannatamente scomodo. Mendicare un posto dove provare o tenere la scenografia succhia energia. Ma queste sono le condizioni. Potrei benissimo smettere e godermi la pensione. Non ne sono capace. È la stessa rabbia che mi guida come quando nel 1964 fui rifiutato in Norvegia dai teatri tradizionali. Ho solo bisogno di un pugno di compagni caparbi e operosi. E li ho. Allora continuo a danzare".

Il Novecento è stato il secolo dei grandi innovatori teatrali, da Grotowski a Beck e Barba. Perché quel meraviglioso periodo non si ripete? "Perché non ci sono pettirossi. C’era un periodo di oscurità, ed ecco arrivare un pettirosso, quindi un altro e poi un altro ancora, sciami dopo sciami di pettirossi, e il frullare delle loro ali creava tanta luce. Poi uno dopo l’altro volarono via. Adesso aspettiamo che i pettirossi ritornino. Dobbiamo avere pazienza: prima o dopo lo faranno".

Cosa resta del ’Terzo Teatro’ sulla scena contemporanea? "Il 90% degli spettacoli che avvengono questa sera sul pianeta appartengono alla cultura del Terzo Teatro, quella non istituzionale, riconosciuta e appoggiata. Oggi non esiste il teatro ma i teatri, incarnati da uomini e donne la cui rabbia, impotenza o tenacia si scontra con un contesto ben preciso. Fare teatro nei territori palestinesi occupati dai coloni israeliani è ben diverso dalle condizioni in cui fanno i loro spettacoli i giovani in Venezuela o a Bologna. È il contesto a decidere il valore del nostro mestiere".

Come vive le nuove generazioni? "Non sono in grado di vivere le nuove generazioni, ma singoli individui. Nello stesso paese posso incontrare un giovane combattivo e tenace e un altro che si lamenta e aspetta che qualcuno lo aiuti. I giovani sono diversi e certamente con altre idee ed esperienze di quelle che avevo io alla loro età. Eppure li sento vicini perché tutti hanno la capacità di sognare e immaginare un’altra condizione di quella in cui si trovano".