CHIARA GABRIELLI
Cronaca

Ex vigilessa uccisa. Un testimone in aula: "Gualandi privo di empatia e freddo verso la vittima"

Il luogotenente: "Una colluttazione? Improbabile. E l’arma era sporca. Mi diceva di chiamarlo ’commissario’, non ’signore’. Mi ha molto colpito". Mostrate le foto del corpo, la mamma di Sofia si copre il volto con le mani.

Il luogotenente: "Una colluttazione? Improbabile. E l’arma era sporca. Mi diceva di chiamarlo ’commissario’, non ’signore’. Mi ha molto colpito". Mostrate le foto del corpo, la mamma di Sofia si copre il volto con le mani.

Il luogotenente: "Una colluttazione? Improbabile. E l’arma era sporca. Mi diceva di chiamarlo ’commissario’, non ’signore’. Mi ha molto colpito". Mostrate le foto del corpo, la mamma di Sofia si copre il volto con le mani.

"L’arma era sporca" ed è "improbabile che ci stata una colluttazione nella stanza". Gualandi, subito dopo l’omicidio, mostrava "freddezza e mancanza di empatia" verso la vittima. Queste alcune delle parole, ieri mattina, del luogotenente Marco Benassi, della sezione investigazioni scientifiche del nucleo investigativo dei carabinieri di Bologna, davanti alla Corte d’assise di Bologna, presieduta dal giudice Pasquale Liccardo. La sua testimonianza ha aperto un’altra udienza del processo di primo grado per l’omicidio di Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, uccisa il 16 maggio 2024. Per la morte della ragazza è sotto accusa Giampiero Gualandi, il 63enne ex comandante della Polizia locale di Anzola dell’Emilia, accusato dell’omicidio volontario, aggravato dal legame affettivo con la vittima e dai futili motivi. Con lei aveva infatti una relazione extraconiugale. Sofia Stefani fu uccisa da un colpo al volto sparato dalla pistola di servizio di Gualandi.

In aula, il luogotenente Benassi ha parlato dei momenti immediatamente successivi all’omicidio, quando, dopo il primo sopralluogo al Comando, Gualandi era stato portato in caserma e veniva sottoposto a rilievi fotografici e prelievi con il kit sparo. E, rispondendo a una domanda della procuratrice aggiunta Lucia Russo, che ha chiesto se ricordasse com’era in quel momento lo stato d’animo dell’imputato, Benassi ha sottolineato: "Continuavo a rivolgermi a lui chiamandolo ‘signor Gualandi’, ma lui mi disse (di chiamarlo) ‘Commissario Gualandi’ – ha spiegato Benassi –. Questo mi ha colpito molto, questa freddezza e mancanza di empatia nei confronti della vittima". Una sensazione che, ha spiegato, aveva condiviso con i suoi colleghi. Benassi ieri ha riferito anche del sopralluogo nell’ufficio del Comando di Polizia locale di Anzola: "Riteniamo che l’arma all’origine avesse 11 colpi. Nove ne abbiamo trovati nel caricatore e uno in canna" e uno, quello fatale per Stefani, a terra. "L’arma era sporca – sottolinea –, questo fa desumere che non era stata pulita di recente" e aggiunge che, in base ai rilievi, si ritiene "improbabile che ci sia stata una colluttazione nella stanza". Gualandi ha sempre detto invece che quel giorno aveva pulito la pistola e che durante poi una colluttazione con la vittima era partito un colpo per sbaglio.

Per la difesa dell’imputato, che nel processo è assistito dagli avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli, si è trattato di un colpo partito accidentalmente durante una colluttazione, mentre per la Procura Gualandi ha ucciso Stefani intenzionalmente. Benassi ha descritto la scena che si è trovato davanti quel pomeriggio e anche la stanza, con i mobili, nei dettagli, elencando tutti gli oggetti presenti e spiegando come erano disposti. Ma buona parte della testimonianza si è concentrata sull’arma che ha ucciso Stefani. Benassi ha sottolineato che la cassetta in legno con il kit per pulire l’arma, che si trovava sulla scrivania di Gualandi era priva "dell’olio e della pezzuola, quindi l’arma non si poteva pulire senza queste due cose". Comunque, non appariva un’arma pulita di recente". E ha proseguito sottolineando che in base a quanto riscontrato il giorno dell’omicidio, "il caricatore era inserito al momento dello sparo". Sul viso della vittima, "si notavano lesioni tipiche di colpo di arma da fuoco esploso a distanza ravvicinata. Poco dopo, sulle mani dell’imputato, portato in caserma per i rilievi, "non ho riscontrato particolari lesioni".

Ieri mattina, durante l’udienza, sono state anche mostrate le immagini del corpo della ragazza, stesa a terra nell’ufficio del Comando di Anzola e con il sangue sotto il capo, immagini realizzate durante quel primo sopralluogo dei carabinieri: momenti molto forti per i genitori della vittima, che sono sempre rimasti. Assistiti dall’avvocato Andrea Speranzoni, non hanno mai voluto lasciare l’aula. La mamma di Sofia si è coperta il volto con le mani davanti ad alcuni scatti.

Hanno testimoniato anche carabinieri del Ris di Parma, riportando le analisi dei prelievi effettuati, anche di quelli sui capelli sul fermacapelli che era nella stanza. E ieri è stato il turno anche di Emiliano Giardina, consulente della difesa. Durante l’ultima udienza, aveva parlato invece la moglie dell’imputato, ‘difendendolo’ su tutto la linea. Hanno parlato anche il fidanzato e l’ex amante della vittima.