
Il prolifico scrittore di tanti gialli bolognesi ha pubblicato ora ’Berretti bianchi’: "La trama inizia dall’ultimo giorno di lavoro di Cesare Rossi"
Ha aspettato 15 anni e oltre 20 romanzi. Ora per Massimo Fagnoni, uno dei più prolifici scrittori noir della scuola bolognese, è arrivato il momento di parlare un po’ di sé. Con ‘Berretti bianchi. Storie di pulismani bolognesi’, edito da Minerva, l’autore svela la faccia più nascosta di quello che dal 2002 al 2022 è stato il suo lavoro, il vigile urbano. Per l’esattezza, agente di polizia locale in forza al Reparto sicurezza urbana. Un po’ romanzo, un po’ autobiografia, l’opera è già nelle librerie e a inizio giugno verrà presentata al corpo di polizia municipale di Bologna al comando di via Ferrari.
Chi sono i ‘berretti bianchi’ di cui racconta? "Sono i miei colleghi, quelli che hanno condiviso con me i miei 20 anni di carriera. Per la legge siamo agenti di polizia locale, ma li chiamo ancora vigili urbani che viene più facile e ‘pulismani’ è una parola che arriva di più ai lettori bolognesi. Non esiste di fatto una narrativa su questa figura, nell’immaginario collettivo ci sono solo personaggi caricaturali da film come ’Il vigile’ con Alberto Sordi o Lino Banfi e volevo darne un punto di vista diverso. Il nostro lavoro è cambiato nel tempo, noi facciamo tante cose, dai Tso alla lotta all’abusivismo, e il Repato sicurezza urbana in cui lavoravo io è quello che in tante città ha un ruolo importante nella lotta alla microcriminalità: tutte cose che il cittadino neanche immagina, vedendoci solo come i responsabili dei problemi del traffico o quelli che fanno le multe, quindi figure vessatorie".
Chi è il protagonista di questa storia? "Il fil rouge del libro è l’ultimo giorno di lavoro di Cesare Rossi, vigile urbano di Bologna, il quale nel suo ufficio, che poi è il mio, incontra alcuni suoi colleghi, tutti personaggi veri a cui ho solo cambiato il nome: con loro Cesare rivive momenti e situazioni tratte dalla realtà, in cui penso si riconosceranno tanti colleghi di tutta Italia".
Ma è più giusto definirlo romanzo o autobiografia? "Secondo me è più un racconto autobiografico, ma romanzato, altrimenti sarebbe troppo noioso".
Come mai è arrivato a questo racconto solo ora, dopo 15 anni di scrittura e una ventina di romanzi in cui i protagonisti sono altre figure, dal maresciallo dei carabinieri Greco all’investigatore Trebbi? "La figura dell’agente di polizia locale Marco Belli compare già nel primo romanzo ‘Bologna all’inferno’ e la presenza del poliziotto municipale emerge in vari romanzi e racconti. Nel tempo l’investigatore Trebbi e il maresciallo Graco hanno prevalso perché sono personaggi che incontrano di più il pubblico, ma la figura del vigile c’era già perché fa parte della mia vita e del mio vissuto. E poi, questo libro non volevo farlo finché ero in servizio, per non creare problemi all’amministrazione".
Da questa storia che quadro emerge di Bologna e dei suoi cambiamenti? "Sicuramente c’è un forte legame tra il protagonista e la sua città, anche se io da vent’anni ormai vivo fuori. Però c’è anche una sorta di visione critica di quello che è diventata oggi, come del resto è successo in gran parte dei capoluoghi del nord. Parliamo di una città un tempo generosa che sta sperimentando un decadimento di valori che, ripeto, riguarda Bologna come tutto il paese. Non sono un bolognese che difende a tutti i costi certe contraddizioni e ipocrisie della propria città".