Operato al cuore nel pancione della mamma. "Mio figlio salvato da un intervento miracolo"

Emanuela, incinta di 7 mesi: "In sala chirurgica al Sant’Orsola pensavo: chissà se usciremo di qui insieme". Palloncino millimetrico nell’aorta

Il piccolo Nicolò tra il papà Antion e la mamma Emanuela

Il piccolo Nicolò tra il papà Antion e la mamma Emanuela

Bologna, 23 ottobre 2021 - Entrare con un ago nella pancia della mamma per arrivare al cuore del bambino e correggere – con un catetere a palloncino di poco più di 3 millimetri – il restringimento della valvola aortica che mette a rischio la sopravvivenza del feto, quasi al settimo mese di gravidanza. Un intervento ad alto rischio, tra i primi in Italia, eseguito al Sant’Orsola di Bologna con la collaborazione di ginecologi e cardiologi.

Gli specialisti sono consapevoli di aver raggiunto un obiettivo importante: perché la gestazione è andata avanti e Nicolò, venuto al mondo con un cesareo lo scorso 23 settembre, oggi compie un mese, festeggiato nella sua casa di Rimini da mamma, da papà e dalle sorelline di 6 e 2 anni. "Il bimbo aveva la parte sinistra del cuore dilatata a causa della stenosi aortica, un restringimento importante che ha causato la disfunzione e la dilatazione del ventricolo sinistro ¬– spiega Andrea Donti, direttore della Cardiologia pediatrica e dell’età evolutiva del Policlinico –. Davanti a un quadro di questo tipo, il feto rischia di morire nell’utero per uno scompenso cardiaco, oppure si può bloccare la crescita del ventricolo sinistro e dopo il parto il neonato deve essere sottoposto a interventi ancora più complessi. Quindi, abbiamo discusso con la madre l’ipotesi dell’operazione in utero".

Decidere di entrare in sala operatoria in queste condizioni non è facile. "La procedura fetale ha un alto rischio di mortalità, va dal 10 fino al 30% circa. Nel nostro caso, il rischio era molto elevato, l’aorta alla ventisettesima settimana ha un diametro di pochi millimetri", precisa Donti. La mamma viene rassicurata: il bimbo non sentirà dolore e verrà addormentato.

"Quando mi hanno telefonato dal Sant’Orsola per dirmi che l’intervento era fissato per l’indomani ho passato la notte a piangere – ricorda Emanuela Kapllani, 26 anni –. Al consultorio e poi all’ospedale di Rimini avevano fatto una diagnosi corretta, affidandomi poi al Policlinico. Al mattino, in ospedale, a me e a mio marito è stato detto che senza intervento il rischio di morte era molto alto. Allora ho chiesto di farlo nascere subito: ma sarebbe stato ancora più pericoloso, hanno risposto, il bimbo era troppo piccolo".

Aggiunge il papà, Antion Nezha, 31 anni, che "a quel punto non potevamo tirarci indietro, perché se non avessimo dato l’assenso ci sarebbe rimasto il rimorso per tutta la vita. Ma stare tre ore fuori dalla porta in attesa di notizie è stato durissimo. Quando ho saputo che era andato tutto bene, mi sono scese le lacrime".

Un grafico che mostra l’operazione compiuta
Un grafico che mostra l’operazione compiuta

"Innanzi tutto bisogna anestetizzare il feto – precisa il professor Gianluigi Pilu, direttore dell’unità operativa di Ostetricia – perché non senta dolore e per impedirgli di muoversi. Siamo entrati in sala operatoria alle 8 e abbiamo atteso a lungo, controllando con l’ecografo che il bambino si mettesse nella posizione giusta, a pancia in su. Alle 10 è arrivato il momento e ho iniettato l’anestico nel cordone ombelicale. Poi ho inserito un ago all’interno del cuore del feto, arrivando vicino alla valvola da operare".

A questo punto la direzione dell’intervento è passata al cardiologo. "Siamo entrati nel restringimento dell’aorta dove si posiziona il catetere, con un palloncino, nel nostro caso di 3,5 millimetri, gonfiato nella valvola per allargarla. In un anno – precisa Donti – eseguiamo procedure interventistiche di vario tipo su circa 50 neonati e 300 persone di ogni età, ma è la prima volta su un feto: il risultato è stato ottimo e andrà verificato attentamente in futuro".

Per Chiara Gibertoni, direttrice generale del Sant’Orsola, "questo può accadere solo al Sant’Orsola, la nostra vocazione è affrontare ogni giorno sfide sempre più difficili, sapendo di poter contare sulla collaborazione tra specialisti di grande spessore che abbracciano quasi ogni branca della medicina". I genitori di Nicolò, di origine albanese, in Romagna da oltre vent’anni, hanno superato anche l’ansia di una seconda valvuloplastica, eseguita dopo la nascita: "Siamo già tornati a Bologna per un controllo e siamo felici perché Nicolò sta bene e il ricordo di quando lo vedevo intubato attraverso le videochiamate di mio marito mi sembra già lontano. Speriamo che la nostra storia dia coraggio a chi si trova nelle nostre condizioni. Noi, seguiti da un ospedale che è un’eccellenza, ci siamo fidati".

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