
Ennesima sentenza per il disastro, l’avvocato delle parti civili: "Presenteremo un nuovo ricorso"
Tutti assolti. Dopo quindici anni, la storia della frana di Vado è da riscrivere. Ancora una volta. Ieri infatti la Corte d’appello di Bologna, presieduta da Laura Sola, ha disposto l’assoluzione per i tre imputati: il committente dei lavori, il direttore dei lavori e il legale rappresentante della ditta che eseguì lo scavo.
Erano le 22 del 15 maggio del 2010 anni fa quando la collina che incombeva sulle case su un tratto della Provinciale Val di Setta tremò e una bomba di roccia, sassi e sabbia crollò verso valle, travolgendo quello che si trovava sul suo percorso. Sei case furono danneggiate, una fu completamente distrutta. La frana non causò vittime, dato che il movimento della collina aveva portato a evacuare 18 famiglie prorpio prima del disastro.
La procura ritenne che dietro quel collasso della collina ci fossero i lavori di scavi e sbancamenti, realizzati per ricavare un parcheggio dal proprietario di un’abitazione della zona, a monte rispetto a quelle poi travolte. Intervento che avrebbe reso il versante più fragile. Così, finirono a processo per disastro colposo il committente dei lavori Albino Menzani, il direttore dei lavori Luciano Mario Crini Burzi e il legale rappresentante della ditta che eseguì lo scavo, Alessandro Giuliani. Nel mirino il fatto che, nonostante la Denuncia di inizio attività edilizia (Dia) avesse stabilito un’asportazione massima di 300 metri cubi di terra, data la franosità dell’area, secondo i consulenti di parte civili e il tecnico del Comune questa fu di circa tre volte superiore, per un totale di 950 metri cubi.
In primo grado, il giudice riconobbe il nesso causale tra i lavori e la frana, ma non la colpa degli imputati; poi la Corte d’appello ritenne non vi fosse neppure il nesso causale. Da qui il ricorso in Cassazione e l’altro appello. Ma poi la Corte stabilì che gli imputati fossero da assolvere ritenendo le indicazioni dei metri cubi di terreno realmente sbancato ’approssimative’ e che le norme sul dissesto idrogeologico fossero per certi aspetti ’non rigide’.
L’avvocato Gabriele Bordoni, che assiste nel procedimento tutte le parti civili tranne una – quindi otto su nove –, su quest’ultimo punto aveva attaccato in aula, a Roma: "La nostra regione ha vissuto sulla sua pelle le conseguenze di leggerezze nel presidiare il sistema idrogeologico. Se la Cassazione riconoscesse una ’elasticità’ nell’interpretazione delle norme idrogeologiche, chiunque volesse fare lavori su crinali di montagna avrebbe via libera per rispettarle a propria discrezione. Con inevitabili disastri".
E ora Bordoni, dopo questa nuova sentenza, annuncia un altro ricorso: "Lo faremo nella certezza che anche questa decisione, come le altre due precedenti, verrà cancellata dalla Suprema Corte".