La Franzoni torna a Cogne vent’anni dopo. Il Capodanno nella villetta del delitto

Da tre anni la donna, condannata per aver ucciso il figlioletto Samuele la mattina del 30 gennaio 2002, ha finito di scontare la sua pena. Lei si professa ancora innocente. L’avvocato Savio: "Convinta intimamente che non sia stata lei. Quel processo fu un vortice di dolore"

Annamaria Franzoni torna a Cogne vent'anni dopo la morte del piccolo Sami

Annamaria Franzoni torna a Cogne vent'anni dopo la morte del piccolo Sami

Cogne, 7 gennaio 2022 - Il passato non si cancella. Segue e, in certi casi, perseguita. Per Annamaria Franzoni, che in questi tre anni da donna libera "ha cercato di prospettare per se stessa un futuro", per usare le parole del suo padre spirituale ai tempi della Dozza, don Giovanni Nicolini, la costruzione di questo futuro riparte anche da Cogne. Dalla villetta ‘degli orrori’ di Montroz, dove saranno vent’anni esatti il prossimo 30 gennaio, ha ucciso il suo bambino di 3 anni, Samuele. Ha ucciso, perché la verità processuale è scritta. Definita. E pure scontata. Benché Annamaria Franzoni non abbia mai smesso di professarsi innocente per quella morte. Benché i suoi legali, Carlo Taormina prima, Paola Savio poi, siano intimamente convinti di questa innocenza prima urlata in tv, poi sussurrata nell’intimità degli affetti. Nella villetta, negli ultimi anni al centro di una disputa civile - ora conclusa - con il suo ex avvocato Taormina, la ‘mamma di Cogne’ ha passato tre giorni per Capodanno.

Annamaria Franzoni: resta sua la villetta di Cogne

"Non ci interessa parlare di questa vicenda", taglia corto il sindaco del paesino della Valle d’Aosta, Franco Allera. La fama del suo Comune è stata troppo a lungo legata al sangue del piccolo Samuele. E vent’anni dopo tornare su quella tragedia è come riaprire una ferita. Ma la presenza di Annamaria Franzoni a Montroz, già da sola, fa tornare alla mente quei giorni concitati di carabinieri, Ris, indagini e perizie, plastici e ospitate.

Quei tempi, per Annamaria Franzoni, sono finiti. Terminato di scontare la sua pena (la condanna era a 16 anni, di cui 11 effettivi tra sconti e indulto) la Franzoni è tornata nel tepore del suo nido famigliare, a Monteacuto di San Benedetto Val di Sambro, un luogo da cui si sposta di rado. "Si vede poco in giro, anche alla messa", raccontano in paese. Dove parlare di Annamaria Franzoni è quasi un tabù. Per rispetto della sua famiglia, per rispetto al suo diritto di ricostruirsi una vita, non c’è voglia di entrare in quelle stanze private. Lei e il marito Stefano ora collaborano con l’impresa di famiglia, un agriturismo gestito da trent’anni dai genitori di lei, a una manciata di metri dalla loro casa. E dal piccolo cimitero, dove riposa Samuele.

A Montroz tutto comincia. A Monteacuto tutto finisce. E il luogo della memoria diventa un luogo dell’oblio benedetto. "Io non sarò mai un bel ricordo per Annamaria e Stefano", dice confermando questo pensiero l’avvocato Paola Savio, che dal 2007 ha accompagnato, fino alle battute finali, la vicenda processuale di Annamaria Franzoni. "Una donna che trasudava sofferenza, fin dal primo minuto al telefono", dice la legale, ripercorrendo anni "di un vortice, di una storia delicatissima e difficile da gestire", in cui si è ritrovata. "Il professor Carlo Torre mi chiamava con affetto l’avvocatina, perché ero giovane, non nota come il mio predecessore. E ho dovuto studiare una mole impressionante di documenti per affrontare questo processo, per proporre un’arringa finale che fosse basata su dati oggettivi", ricorda l’avvocato Savio. Che si dice "assolutamente convinta" dell’innocenza di Annamaria Franzoni, "al di là del rapporto tra assistito e avvocato, io non ho trovato quella risposta, oltre ogni ragionevole dubbio. Avevo davanti a me una donna con molti cedimenti emotivi, ma che ha sempre ribadito la stessa verità". L’avvocato Savio è rimasta in contatto con la famiglia Lorenzi. "Ma piano piano si vuole dimenticare. Arriva un punto in cui si vuol voltare pagina e questo comprende anche le persone legate, nel bene e nel male, a una fase così nera della propria vita".

Come spiega anche don Nicolini: "Dirò una cosa forte – premette –. Paradossalmente, per noi che non contempliamo la pena di morte, il suo è un fine pena mai. Annamaria non ha mai avuto un atteggiamento di competizione, vendetta o risentimento: ma si è domandata cosa le prospettasse il futuro, con coraggio e umiltà. La vita ha una sua severità oggettiva. E la fede è una grande risorsa, che permette di pensare a un domani nuovo".

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