ANDREA SPINELLI
Cronaca

’Frecciarossa’: l’amore secondo. Willie Peyote

Il rapper stasera fa il pieno all’Estragon "Dopo dieci anni di carriera, sono ancora io".

’Frecciarossa’: l’amore secondo. Willie Peyote

’Frecciarossa’: l’amore secondo. Willie Peyote

Il Cupido che usa le frecce del suo arco per fare harakiri, ritratto sulla copertina dell’ultimo singolo di Willie Peyote ’Frecciarossa’ la dice lunga sull’amore tossico raccontato dal testo. "Non faccio riferimento ad un’unica esperienza, ma ad alcune sommate fra loro" spiega il rapper torinese, all’anagrafe Guglielmo Bruno, in concerto stasera all’Estragon (sold out). "Volevo puntare il dito su quella nomenclatura che spesso tende ad associare le relazioni a patologie, un modo discutibile di approcciarsi ai problemi relazionali esasperando i toni".

Quindi?

"Secondo me vale la pena fermarsi un attimo e ragionare sul fatto che forse è proprio la nostra tendenza a etichettare le cose a rovinare i rapporti. Anche se il pezzo in fondo parla di fiducia. Quella fiducia che non dipende solo dagli altri, ma soprattutto da noi; perché credere negli altri è innanzitutto una nostra scelta".

L’umore è diverso da quello del predecessore ’Picasso’.

"Credo che ‘Frecciarossa’ sia un pezzo più leggero, ma con un sound un po’ più scuro, mentre ‘Picasso’ era un po’ più triste, ma con un sound più allegro ed estivo. Quanto a sentimento, diciamo che ‘Frecciarossa’ è un buon... antipasto dell’album che verrà".

Fin dal titolo ’Non è (ancora) il mio genere tour 2023’, lo show getta più di uno sguardo al passato di ’Non è il mio genere, il genere umano’, album di debutto del 2013. Perché, dopo dieci anni, non è ancora il suo genere?

"L’idea del titolo nasce dal fatto che ancora oggi, nonostante il decennio d’attività e il fatto che nel frattempo il rap abbia permeato tutti gli altri generi, la gente non sappia ancora esattamente che musica faccio. La cosa mi fa ridere, ma anche inorgoglire del fatto che il trentottenne di oggi sia rimasto coerente, pur aggiungendo sfumature ed edulcorando i toni, col ventottenne di ieri".

Insomma, morirà "povero, ma coerente" come rappa in ’Vermi’ di Mobrici?

"Povero di fama, intendo. Perché scelte che ho fatto mi hanno tenuto lontano dal ruolo di popstar. La povertà vera è un’altra cosa".

"Sanremo? Ho già dato". Rimane di quell’opinione?

"Vedendo il mio tastierista andarci ogni anno nei panni di direttore d’orchestra di questo o di quello, debbo dire che mi piacerebbe riprovarci in condizioni normali, come quelle che vive lui e non blindate com’è capitato a me. Insomma, rifarei l’esperienza del Festival per capire com’è realmente. Distanziati sul palco e senza pubblico in sala o nelle strade, infatti, il mio è stato un Sanremo monco e a tratti surreale".

Nel caso ci tornerebbe da solo o assieme ad altri?

"Come Pupo, Principe e Tenore, dice? A parte le battute, sarebbe bello farlo con qualcuno, perché condividere il palco alleggerisce la tensione, anche se io sono tendenzialmente un’artista solista quindi mi immagino lì sopra da solo. Quella di affrontare l’Ariston in compagnia rimane, però, una bella idea. La formula, infatti, mi consentirebbe di vivere le cose con leggerezza lasciando spazio pure ad un po’ di divertimento".

E chi potrebbe essere idealmente parte di questa condivisione?

"Motta, ad esempio, con cui ho da poco pubblicato un pezzo (‘Titoli di coda’, ndr) ed è un mio grande amico. O, ancora, Aimone Romizi dei Fast Animals and Slow Kids con cui abbiamo condiviso diverse esperienze. Ma i ‘possibili’ sono tanti, anche se non ci ho ancora ragionato su".