
Nella Bologna creativa e turbolenta del dopo 1977, nelle cantine della città si sviluppò una scena musicale vivace e originale, che ha fortemente determinato, con le sue produzioni, la nascita del ‘nuovo’ rock italiano. Se gli Skiantos di Roberto ‘Freak’ Antoni hanno avuto il merito di dare vita a quel linguaggio pop che venne definito ‘demenziale’, i Gaznevada sono stati gli sperimentatori elettronici per eccellenza, con un album d’esordio del 1980, Sick Soundtrack, inserito da prestigiose riviste di settore, da Rolling Stone a Rumore, tra i migliori dischi italiani di sempre. Adesso quel lavoro è stato interamente risuonato da tre Gaznevada, Ciro Pagano, Marco Bongiovanni e Giorgio Lavagna, è uscito con il titolo di Synth Soundtrack (Italian Records), e verrà presentato questa sera sulla Terrazza del Teatro Comunale all’interno della rassegna Clubbing Music Cult con un dj set.
Pagano, che rapporto c’è tra Synth Soundtrack e il disco del 1980 che lo ha ispirato?
"Synth Soundtrack è il nostro disco d’esordio, ma risuonato utilizzando le tecnologie che adesso abbiamo a disposizione e che allora non esistevano. È Sick Soundtrack se fosse stato registrato oggi, invece che nel 1980. La struttura delle canzoni è esattamente la stessa, non è stato cambiato nulla rispetto all’originale, ma tutte le canzoni sono state arricchite con sintetizzatori e strumenti elettronici contemporanei. Una rilettura originale di un album che ha segnato la nostra carriera e la storia del rock italiano. Anche se allora non ne eravamo consapevoli".
Voi venivate dal punk.
"Certo, dopo gli esordi, strettamente legati al movimento del 77, con il nome di Centro d’Urlo Metropolitano, scoprimmo il punk, specie quello americano dei Ramones, ai quali dedicammo alcuni dei nostri primi concerti. Ma la passione per la ricerca, per la sperimentazione, per l’utilizzo delle prima macchine analogiche ci portò a mescolare il nostro spirito iconoclasta con le tecnologie. Non a caso Sick Soundtrack fu registrato a Modena negli studi dei Fratelli Maggi, che sono gli inventori dell’olofonia, uno dei più avveniristici sistemi di riproduzione della musica, usato dai Pink Floyd".
Come è stato accostarsi nuovamente, oltre 40 anni dopo, a quelle canzoni così legate agli inizi della vostra carriera?
"Emotivamente è stata una esperienza molto intensa. Perché, come si può immaginare, ogni canzone evocava ricordi, concerti per noi memorabili, notti trascorse a trovare la nota perfetta, le ore che dedicavamo a ogni singola parola dei testi. E, soprattutto, la consapevolezza di aver fatto un disco che esprimeva la nostra voglia di gioventù, in assoluta libertà".
E vero che questo disco è figlio di un invito che vi aveva rivolto il Dams?
"Sì, nel 2022 siamo stati invitati a raccontare la nostra storia all’interno di un ciclo di conferenze su musica e politica a Bologna alla fine degli anni ‘70 e ci è stata chiesta una esibizione dal vivo. Dopo decenni con Marco Bongiovanni, che era il bassista del gruppo, abbiamo preparato un breve live con alcuni nostri brani in versione elettronica. Da lì è iniziato tutto. Siamo stati invitati a suonare al Berghain di Berlino, il più famoso club del mondo e il fatto che un pubblico internazionale di giovanissimi ballasse con brani che avevano più di 40 anni, ci ha convinto a realizzare Synth Soundtrack".