CHIARA GABRIELLI
Cronaca

Georgofili, archiviato Paolo Bellini: "Nessun legame con la destra eversiva"

Il giudice di Firenze lo scrive in riferimento all’ex Primula Nera, condannato all’ergastolo per la strage del 2 agosto. L’avvocato: "Dopo 30 anni si rileggono le carte e il risultato è lo stesso, siamo il Paese degli eterni processi". .

Bellini è condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per la strage di Bologna

Bellini è condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per la strage di Bologna

"Assoluta mancanza di riscontri circa i legami tra Bellini e la destra eversiva". È scritto nero su bianco nel decreto di archiviazione del tribunale di Firenze, di appena sette pagine, firmato dal giudice per le indagini preliminari Angelo Antonio Pezzuti. Ed è curioso che la persona in questione sia l’ex esponente di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, la Primula Nera di Reggio Emilia, notissimo estremista – appunto – di destra, condannato in primo e secondo grado all’ergastolo per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e ora in custodia cautelare nel carcere di Cagliari.

Tornando alla decisione presa al tribunale di Firenze, siamo nell’ambito dell’inchiesta – finita con l’archiviazione su richiesta della Dda – sulla strage di via dei Georgofili nel capoluogo toscano, quando il 27 maggio 1993 un’autobomba causò la morte della famiglia Nencioni (il padre Fabrizio, la madre Angela Fiume, le due figlie piccole Caterina di appena 50 giorni e Nadia di 9 anni) e dello studente Dario Capolicchio, oltre a incalcolabili danni materiali e al patrimonio artistico e culturale degli Uffizi. Inchiesta che riguardava anche il precedente attentato a Maurizio Costanzo a Roma.

Per l’avvocato Danilo Ammannato, legale dell’Associazione Vittime dei Georgofili, l’archiviazione di Bellini chiude il capitolo penale, ma mantiene un suo valore storico. "Storicamente Bellini è responsabile di aver indicato di attentare al patrimonio dello Stato, a livello penale mancano i riscontri alle dichiarazioni de relato da parte di Brusca e La Barbera". Furono i due pentiti a riferire ciò che avrebbero appreso da un altro boss, Antonino Gioè (che fu compagno di cella di Bellini a Sciacca prima del suo misterioso suicidio in carcere nel luglio del 1993), circa l’origine del “suggerimento“ di colpire i tesori artistici. Ma anche su questo aspetto, scrive il gip, "va preso atto della radicale divergenza tra quanto riferito da La Barbera e da Brusca rispetto a quanto detto dal Bellini" e del fatto che non è possibile "ritenere vero quanto riferito da Bellini in ordine alla motivazione della sua decisione di infiltrarsi in Cosa Nostra". Si parla anche di "totale mancanza di prova in ordine all’esistenza di un’organizzazione composta dagli ’amici di Piccoli’".

Da questo atto, "non si riesce a capire se il riferimento temporale è al 1992-93 quando ha avuto contatti con Gioè e gli altri o se è al periodo antecedente – il commento dell’avvocato Antonio Capitella, che difende Bellini –. Ma vale quello che vale, perché, nel nostro sistema molto articolato, una sentenza dice una cosa e un’altra può anche dire il contrario sugli stessi fatti". Quello che è interessante, sottolinea Capitella, "è il fatto che per l’ennesima volta dopo 30 anni si rileggono le stesse carte e il risultato è lo stesso, perchè c’era già stata un’archiviazione, circa vent’anni fa. Siamo il Paese degli eterni processi".