
L’artista oggi alle 19 a Montagnola Republic presenta il suo libro ’Nessuno è una cosa sola’ in dialogo con Murubutu
Coltivare il gusto per la scoperta, continuare a stupirsi, a frequentare territori dell’esistente mai attraversati prima. Perché, come recita il libro appena uscito di Ghemon, ’Nessuno è una cosa sola’ (Rizzoli). Il rapper, vero nome Giovanni Luca Picariello, attore comico e adesso anche maratoneta, lo presenta questa sera (ore 19) a Montagnola Republic, nel parco della Montagnola insieme a Murubutu. Ingresso libero.
Ghemon, il suo libro a una prima lettura sembra un’autobiografia. Ma non è solo questo.
"Sono partito dal racconto del me stesso e di come sono cambiato negli anni, ma le storie che ho scritto sono state in realtà un’occasione per dimostrare che la trasformazione è necessaria, è vitale, che non bisogna mai accontentarsi, appunto, di essere ’una cosa sola’. Io l’ho sperimentato su di me, ed è come se avessi frequentato un corso di mindfulness, di quelli che oggi vanno così di moda. Ho imparato che conoscersi significa accettare le fughe in avanti, che seguire le proprie passioni è un esercizio mentale che ti migliora".
E quello che viene definito il ‘sogno nel cassetto’...
"Ognuno di noi ne ha e, spesso, come nel mio caso, sono più di uno, ma siamo spaventati dall’idea di abbandonare le piccole certezze che abbiamo faticosamente conquistato. Invece non esiste un’età per mettersi in gioco, io ho più di 40 anni e ancora cerco nuove forme di espressione, esploro, sperimento linguaggi che non avrei mai immaginato, come la stand up comedy".
Lei è arrivato al successo come rapper, ha partecipato a Sanremo, è un cantante amatissimo. Non le bastava tutto questo?
"È stata proprio la pratica dell’introspezione, la difficoltà, molto forte inizialmente, nel rispondere a una domanda che pure emergeva in continuazione, a farmi modificare la rotta. Ma davvero io volevo essere il classico cantante che va a Sanremo e poi segue la routine obbligata: le partecipazione ai salotti tv, poi il nuovo singolo e nel frattempo invecchi e percepisci di non essere più in sintonia con il pubblico più giovane, allora cerchi qualcun altro con cui scrivere le canzoni? Sono grato a Sanremo per tutto quello che mi ha dato e per la fama. Ma fermarmi lì avrebbe segnato la fine della mia esistenza artistica".
Così ha scoperto la stand up comedy.
"È stato come tornare alle mie origini nella scena del rap italiano. Ho trovato lo stesso entusiasmo delle prime jam session, della capacità di improvvisare. Ho sempre avuto un lato ‘comico’ nella mia scrittura, ma facendo hip hop lo avevo messo da parte. È riemerso naturalmente, l’ho coltivato, sono salito sui palchi con le mie storie, a volte surreali, altre talmente vere da sembrare pura finzione e, nuovamente, mi sono sentito parte di una comunità che non ha l’ossessione del mercato".
C’è stato un artista comico che, in particolare, ha avuto una influenza in questa sua carriera parallela?
"Sicuramente l’americano Louis C.K., E’ una celebrità della stand up comedy. Ero a New York e sono andato nel Comedy Cellar, uno spazio piccolissimo dove si esibiscono gli esordienti sconosciuti. Lui era lì, sul palco, di fronte a pochissime persone, inaspettato, per provare le battute del suo nuovo spettacolo. In quel momento ho compreso quale fosse l’aspetto di quest’arte che mi affascinava di più: per quanto tu sia una star, come lui è, hai sempre bisogno del confronto, fosse anche con uno spettatore, per migliorarti e non credere mai di essere definitivamente arrivato".