Giampiero Gualandi può – di nuovo – tornare a casa. Il giudice per le indagini preliminari Domenico Truppa ha infatti accolto per la seconda volta l’istanza di alleggerimento della misura cautelare presentata dall’avvocato dell’ex comandante dei vigili urbani di Anzola, dal maggio scorso in carcere per avere ucciso la collega Sofia Stefani con un colpo della sua pistola d’ordinanza, sparato proprio nel suo ufficio nella sede della polizia locale del paese.
Così, Gualandi può in teoria passare agli arresti domiciliari: ma resta il problema del reperimento dei braccialetti elettronici, che in questo momento scarseggiano. E così il vigile resta per il momento alla Dozza.
La Procura (pm Lucia Russo e Stefano Dambruoso) ha già presentato appello contro la decisione del gip e quindi si dovrà tornare davanti al tribunale del Riesame, dove anche i familiari di Sofia, parti offese rappresentate dall’avvocato Andrea Speranzoni, presenteranno delle memorie a riguardo. Nel frattempo però, se riuscirà ad avere il braccialetto che gli spetta, Gualandi potrà tornare a casa sua.
L’avvocato Claudio Benenati, che difende l’agente, aveva chiesto i domiciliari per il proprio assistito un mese fa: il gip li aveva concessi, appunto, ma il Riesame li aveva annullati per la mancata notifica dell’istanza alle parti offese, obbligatoria. La settimana scorsa allora l’avvocato Benenati aveva riformalizzato la richiesta, questa volta con tutte le comunicazioni necessarie, e nonostante le opposizioni di Procura e parti offese l’istanza è stata nuovamente accolta. "Uno scandalo che non ci siano braccialetti, che per giunta costano moltissimo allo Stato, circa 150 euro al giorno", attacca Benenati.
Gualandi, 63 anni, risponde dell’omicidio della collega di 33 Sofia Stefani, raggiunta allo zigomo da un proiettile partito dall’arma del suo ex comandante, con cui aveva avuto una relazione. L’omicidio avvenne il 16 maggio scorso e da allora Gualandi è in carcere. Nei suoi confronti la Procura ha chiesto il giudizio immediato per omicidio aggravato da futili motivi e dal legame affettivo con la vittima.
L’ex comandante da sempre sostiene che fu un incidente, e il colpo partì per sbaglio durante una colluttazione dopo che Stefani entrò come una furia nel suo ufficio perché non voleva accettare la fine della loro relazione; una versione che potrà essere confermata o smentita anche dagli esiti delle varie consulenze tecniche – medico-legale, balistica, biologica – eseguite in corso d’indagine.