Gian Luca Farinelli: "Il cinema mi ha insegnato la vita"

Il direttore della Cineteca di Bologna è ospite della nostra newsletter. "Il primo cineclub l’ho fondato al Galvani, con il mio amico Nicola Mazzanti"

Gian Luca Farinelli è direttore della Cineteca e ospite della nostra newsletter

Gian Luca Farinelli è direttore della Cineteca e ospite della nostra newsletter

Bologna, 8 marzo 2021 - Se la ride Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca, quando gli si chiede che impressione fa a un cinefilo come lui avere il nome di battesimo del regista Godard. "Ho il sospetto – risponde – che mio padre, amando tantissimo i film, mi abbia chiamato in questo modo pensando proprio a quel regista. Lui però non lo ha mai ammesso". Cosa facevano i suoi genitori? "Insegnavano entrambi materie letterarie. Mio padre, tra l’altro, aveva avuto al Tanari tra gli allievi Vasco Rossi, che in più occasioni ha ricordato come fosse stato proprio papà a dirgli che aveva talento nella scrittura e a incitarlo sulla via della creatività". Lei invece ha frequentato il liceo Galvani. E’ vero che ha creato il suo primo cineclub a scuola? "Vero, si chiamava Metrò. Con il mio compagno di banco Nicola Mazzanti, che è attualmente direttore della Cineteca di Bruxelles, cominciammo a noleggiare film da presentare in una saletta del circolo dei Dipendenti comunali di via de’ Foscherari. Quello era un periodo felice per tutti i cineclub, al Pratello cominciava ad avere successo ‘L’Angelo Azzurro’". Da ragazzo viveva nel quartiere San Rufillo? "Sì e mi piaceva moltissimo perché la zona ospitava tanti cinema come lo Smeraldo con il suo schermo gigante o il Giardino che d’estate apriva il tetto. Eppoi si andava al Mignon, al Nuovo Rappini, al Roma... La mia formazione è nata lì. E’ stato attraverso il cinema che ho imparato a capire cos’era l’amore, l’amicizia, la vita...". Il suo ingresso in Cineteca? "Graduale. Nell’82, l’anno del mio esame di maturità, proprio la Cineteca chiese al mio cineclub di organizzare una rassegna nell’area dell’ex Manifattura Tabacchi dove, guarda caso, ora ho l’ufficio. Proponemmo alcuni film amati da Truffaut con la curatela di Franco La Polla. Due anni più tardi si aprì il Lumière in via Pietralata. Lì sarebbe rimasto fino al 2003, fino al trasferimento in piazzetta Pasolini". Quali sono i film del suo cuore? "Ogni lista va aggiornata alla luce dei nostri cambiamenti. Devo dire però che i film muti restano al primo posto. Sono pellicole che, nell’arco di 35 anni, hanno saputo inventare un nuovo codice per raccontare le emozioni senza la voce e il suono. Superano limiti, si conquistano libertà. Poi, certo, amo le commedie di Wilder e Lubitsch, le opere di Scorsese... La cosa bella del cinema è la sua capacità di rigenerarsi". Esistono film che raccontano bene Bologna? "Molti. Intanto il recentissimo ‘Per Lucio’ di Pietro Marcello offre un bel ritratto della città nell’ultimo scorcio del ‘900, mentre la serie televisiva di Luca Guadagnino ‘We Are who we are’ nella sua ultima puntata offre una stupenda passeggiata cittadina fra la notte e l’alba fino a San Luca. Ovviamente ci sono tutti i film di Avati, poi una chicca come ‘Hanno rubato un tram’ con Aldo Fabrizi ma anche una pellicola poco conosciuta di Montaldo intitolata ‘Una bella grinta’". Come è nato il fenomeno del cinema in piazza? "La Cineteca cominciò a fine anni ‘80 a fare proiezioni gratuite nel cortile di Palazzo d’Accursio che arrivarono fino a due mesi di programmazione. La piazza era usata solo un paio di volte ad estate per la proiezione di film muti con orchestra: il debutto avvenne il 2 agosto ‘89 con ‘Napoleon’ di Abel Gance. Fu il sindaco Guazzaloca a proporre l’idea nel Duemila di allungare la programmazione. Estate dopo estate, è stato un successo". Il Modernissimo, nonostante i recenti bandi andati a vuoto, aprirà davvero in dicembre? "Penso proprio di sì. Se sorgerà qualche intoppo, slitteremo a gennaio ma il nostro obbiettivo resta quello. Nel 2024 dovremmo inaugurare invece il Giuriolo, la futura sede dell’archivio e del Laboratorio di restauro della Cineteca destinato a diventare uno dei più importanti centri di conservazione del mondo". Cosa succederà alle sale al momento della riapertura? Il pubblico si è ormai abituato a vedere film sulle piattaforme televisive? "Il futuro è tutto da scrivere, anche se dalla digitalizzazione non si può recedere. Credo che la gente avrà voglia di uscire e le sale continueranno a vivere ma saranno chiamate a maggiore creatività. Forse assisteremo a due mercati pesanti, uno rivolto alle piattaforme e l’altro ai cinema". Se dovesse indicare un pregio di Bologna? "Il fatto di essere coltissima. E’ una città che possiede, al di là del numero alto di laureati, una cultura diffusa e capillare. La cultura della vita".

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