Guazzaloca, la moglie: "Vi racconto Giorgio"

Vent’anni fa diventò sindaco di Bologna, Egle: "Fu subito una star"

Egle con la foto di Giorgio Guazzaloca (FotoSchicchi)

Egle con la foto di Giorgio Guazzaloca (FotoSchicchi)

Bologna, 23 giugno 2019 - Domenica 27 giugno 1999 è una data che resterà scolpita nella storia di Bologna. Per la prima volta dal 1946, sale alla guida di Palazzo d’Accursio un sindaco non di sinistra. Giorgio Guazzaloca – bolognese doc, che dalla bottega di macellaio in via Sabotino si è fatto strada fino alla presidenza della Camera di commercio e dell’Ascom, la potente associazione dei commercianti – al ballottaggio infligge a Silvia Bartolini, candidata dei Ds e del centrosinistra, una clamorosa sconfitta.

Pioniere del civismo, Guazzaloca corre con una sua lista civica, ‘La tua Bologna’. Per tutta la campagna elettorale, tiene a debita distanza i partiti del centrodestra che lo appoggiano. Basta un aneddoto, più volte raccontata dallo stesso Guazzaloca: in campagna elettorale, Silvio Berlusconi gli manda dei grandi manifesti con la propria foto in primo piano. Guazzaloca li vede, dice «che belli», e li nasconde in un sottoscala. Alla fine dello spoglio, la sera del 27 giugno, il risultato finale: Guazzaloca 50,69%, Bartolini 49,31%. Il Muro di Bologna è caduto. A chi, nel tempo, imputerà la sconfitta dei Ds a una campagna elettorale sbagliata, alle fratture nel partitone e agli scivoloni della Bartolini, Guazzaloca replicherà secco: «Avrò ben fatto qualcosa anch’io».  

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Il commento L'eredità del civismo

 

Lo studio di Giorgio Guazzaloca – sindaco di Bologna dal 1999 al 2004, scomparso due anni fa – è rimasto com’era. Sulla scrivania c’è una statuetta di John Wayne, in serie limitata. «La sera dell’elezione davano in tv Ombre Rosse», ricorda Egle Selmi, moglie di Guazzaloca. «È un segnale, mi disse Giorgio, uscendo di casa».  

Lei dov’era il 27 giugno 1999, la sera della vittoria? «A casa. Lui rimase tutto il giorno al comitato elettorale, in Strada Maggiore. Ci tenevamo in contatto per telefono. Non mi alzo finché non è finita, mi diceva».

Poi? «Mi chiamò: corri, vieni. Mi portò in Comune l’amico Pierangelo Pellacani. Incontrai Giorgio sotto il voltone del Podestà. Ci abbracciammo. Giorgio era distrutto, ma felice».

Com’era l’atmosfera? «Una follia, un caos assoluto. Un mare di gente. Giornalisti, televisioni... Arrivammo a fatica a Palazzo d’Accursio».

Chi fece gli onori di casa istituzionali in Comune? «Solo Maurizio Cevenini, consigliere dei Ds, con un vigile».

Quando le disse di volersi candidare sindaco... «... gli dissi: ma sei matto? Ti rendi conto di cosa vai a sollevare?».

Lui credeva davvero di potere vincere? «Ci ha sempre creduto. Percepiva l’amore dei bolognesi, ne sentiva l’incoraggiamento. Sanno che sono amico della gente, non dei potenti, diceva».

Si prese il rischio di correre da civico. Una scommessa, a quei tempi. «Giorgio è sempre stato un uomo libero. Voleva mantenere la propria autonomia».

Eppure, sarà stato corteggiato da qualche partito. «Non ne parlava molto. So solo che una sera andò a cena con degli alti dirigenti della Dc, che gli offrirono la tessera. Rifiutò».

Era proprio allergico ai politici? (ci pensa) «Era un estimatore di Ugo La Malfa».

È vero che, a spingerlo a candidarsi sindaco, fu la sconfitta alla Camera di commercio, imputata al Pds? «Lui diceva: mi hanno preso la Camera di commercio? E io mi prendo il Comune».

Ricorda come passò il giorno dopo la vittoria? «La mattina presto prese la macchina e andò al cimitero di Fratta Polesine a salutare l’amico Arturo Mora».

Chi era? «Insegnava a Veterinaria. Giorgio gli voleva bene come a un secondo padre. Era stato il suo punto di riferimento per una vita, il suo ‘maestro’».

Come cambiò la vostra vita, dopo la vittoria? «Molto, moltissimo. Rinunciammo presto alle nostre passeggiate in centro: lo fermavano tutti, non era possibile. E poi era un diluvio di telefonate. Lo volevano intervistare da mezzo mondo».

Un sindaco star. (ride) «Sì, in quei giorni era così. Andammo a prendere un gelato a San Lazzaro, ed era tutto un vai Guazza, grande Giorgio. Un sabato mi dice: andiamo al mare a Milano Marittima, che lì non mi conosce nessuno. Finimmo sulle pagine di Chi, fotografati in spiaggia».

A casa, parlavate del suo nuovo lavoro di sindaco? «No, anche perché tornava molto spesso spossato da giornate molto intense. E poi cercavamo di tenere distinta la nostra vita privata dalla sua vita pubblica».

Guazzaloca era un grande tifoso del Bologna. «Era tifosissimo. Chiamò una gatta Giacomina, in onore dell’amico Giacomo Bulgarelli».

Andava spesso allo stadio? «Sì, anche con me. Continuammo ad andarci in motorino, anche dopo l’elezione a sindaco».

Uno dei suoi miti era Indro Montanelli. «Anche Montanelli stimava Giorgio. Nel 1999 non si conoscevano, ma dopo la vittoria Montanelli disse: ‘Portatemi Guazzaloca, vivo o morto. Lo voglio conoscere’».

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