Giovanni Padovani: tutte le ossessioni del killer di Alessandra

La querela della donna a fine luglio: "Legge i miei messaggi su Whatsapp grazie a un’applicazione. E ha modificato le password alle mail". Inoltre, agguati sul terrazzo e chiamate alle amiche

Bologna, 28 agosto 2022 - La loro storia era iniziata nell’estate del 2021, ma i problemi erano cominciati quasi subito. Di fatto, è durata meno la loro relazione del periodo di stalking e ossessioni che ne è seguito, come evidenzia anche il gip Andrea Romito nell’ordinanza in cui convalida l’arresto e dispone il carcere per Giovanni Padovani. Lui, 26 anni, ha prima perseguitato e infine ammazzato a martellate la ex compagna Alessandra Matteuzzi, 56 anni, sotto casa di lei in via dell’Arcoveggio, martedì scorso. L’ha assassinata perché era geloso, ossessionato da lei. Un’ossessione totalizzante. Nella denuncia presentata da Sandra ai carabinieri il 29 luglio e nelle integrazioni successive del 3, 8 e 13 agosto, lei particolareggia la persecuzione che è costretta a subire.

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Giovanni Padovani e Alessandra Matteuzzi
Giovanni Padovani e Alessandra Matteuzzi

Gli agguati

Giovanni era tormentato dal sospetto che Sandra lo tradisse (foto). Nulla poteva fermarlo. La aspettava sotto casa a qualsiasi ora – come l’ultimo, drammatico giorno, ma anche quello precedente, in cui a suo dire l’aveva "attesa su una panchina", mentre lei aveva raccontato alla sorella che per indurla a scendere le aveva staccato la luce dal contatore condominiale, e lei si era presentata con in mano una bomboletta di spray urticante, la stessa che verrà ritrovata dagli inquirenti accanto a dove era accasciato il suo corpo, inutilizzata – e addirittura in alcune occasioni si era introdotto direttamente in casa sua, passando dal terrazzo. Al punto che lei, raccontava ai carabinieri, nell’ultimo periodo era solita chiudersi in casa con tutte le porte dell’appartamento serrate a chiave, per timore che Padovani si introducesse clandestinamente nell’abitazione. Inoltre, più di una volta lui si era fatto trovare fuori dal luogo di lavoro di lei, per controllarla.

Alessandra Matteuzzi, 56 anni, uccisa da Giovanni Padovani di 26
Alessandra Matteuzzi, 56 anni, uccisa da Giovanni Padovani di 26

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I contatti

Padovani era arrivato anche a chiamare le amiche della donna, per essere rassicurato sui suoi spostamenti e sul fatto che non fosse con altri uomini, e in un’occasione addirittura la casa di riposo in cui si trova ricoverata l’anziana madre di Sandra, per accertarsi che la figlia fosse davvero andata a farle visita, come gli aveva detto. Non solo. Aveva anche contattato degli amici (uomini) della vittima, per chiedere loro che tipo di rapporto avessero con Sandra.

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Gli accessi d’ira

Al culmine di una lite per la mancata risposta a una videochiamata che lui le aveva fatto, a giugno, Padovani aveva dato in escandescenze: aveva scaraventato a terra, mandandoli in mille pezzi, bottiglie di birra vuote, due posacenere di vetro e alcune bottiglie piene d’acqua.

Chiamate e video

Non mancavano infatti le telefonate continue, anche mentre Alessandra era al lavoro, spesso pure di notte o con numeri sconosciuti per non farle capire chi la stesse chiamando. Poi i video, che la cinquantaseienne gli doveva inviare ogni dieci minuti, inquadrando l’orologio e il luogo in cui si trovava per garantirgli di non essere con altri. E alle videochiamate Sandra era obbligata a rispondere immediatamente, pena violente scenate di gelosia.

I social

Padovani le controllava il cellulare e tutti i profili social, fino a obbligarla a smettere di utilizzare Facebook (le aveva ’consentito’ solo Instagram, perché le serviva per lavoro). Le aveva intimato di rimuovere tutti i contatti maschili dai canali social. Non solo. Il killer era addirittura giunto a carpirle di nascosto, rubandole dal cellulare di lei, le password del profilo Instagram e della mail e a cambiargliele, per avervi un accesso costante. E oltre a verificare continuamente se lei fosse online su WhatsApp, per poi chiederle con chi si stesse scrivendo, si era pure scaricato un’applicazione che gli consentiva di visualizzare sul proprio cellulare tutti i messaggi privati che lei inviava con quel servizio di messaggistica. Aveva infine connesso al proprio telefono il sistema di geolocalizzazione di quello di lei, per monitorarne gli spostamenti.

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