Gli irriducibili dell’astensione non arretrano

L’illusione che per queste Politiche ci trovassimo di fronte a un assalto ai seggi è durato lo spazio di un mattino. Chiunque ieri – fino all’ora di pranzo più o meno – è andato a votare, ha vissuto in ogni parte della città la stessa identica scena, seppur con gradazioni diverse: code di almeno 15 minuti per raggiungere la cabina elettorale, file che si allungavano per i corridoi delle scuole e in alcuni casi tracimavano in alla strada. Una imponente mobilitazione popolare sfuggita alle decine di analisi e di sondaggi, hanno pensato in molti, esternando immediatamente sui social.

E invece è bastato l’arrivo del pomeriggio per gelare le speranze più rosee. A Bologna e nel resto dell’Emilia-Romagna ci consoliamo con dati sull’affluenza di gran lunga superiori alla media nazionale (dieci punti in più solo tra città e provincia), e non è poco. Ma è una magra consolazione, considerato che anche nella terra della partecipazione per eccellenza un quarto degli aventi diritto ha scelto di restare a casa piuttosto che scegliere chi si dovrà occupare del suo futuro (e di quello del Paese). Ed è una magra consolazione soprattutto perché il partito degli astensionisti ha compiuto un nuovo passo in avanti (seppur minimo) in termini di consistenza numerica, rispetto all’ultima tornata di quattro anni fa. A urne chiuse sono probabilmente due le lezioni che ci restituisce questa giornata. La prima è che la disillusione di una parte di cittadini verso la politica è stata più forte di ogni appello al voto. La seconda è che serve qualcosa di più, e di meglio, da parte della classe dirigente (al di là dello schieramento politico) per erodere quello zoccolo duro che di seggi, schede e democrazia, non vuole proprio più sentire parlare.