Goldin: "La grande vitalità di Van Gogh"

Lo storico dell’arte stasera al Duse con uno spettacolo dedicato al pittore: "Cerco di spazzare via i tanti luoghi comuni su di lui"

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di Martina Spaggiari

"La sua morte è stata certo cercata, voluta, come se nei dieci anni in cui ha dipinto, e nei 37 che ha vissuto, avesse detto tutto quello che doveva, completato un ciclo". Lui è Vincent Van Gogh, secondo le parole di Marco Goldin, storico dell’arte, curatore e narratore, con alle spalle oltre una ventina d’anni di studi e ’frequentazioni’ con l’opera e l’epistolario del pittore olandese. Pittore-icona che tutti conosciamo (o pensiamo di conoscere). Svariate mostre, una sterminata biografia dedicata all’artista (uscita nel 2020 per La Nave di Teseo) e un romanzo iniziato nel 2017 che ha finalmente visto la luce a metà settembre: da tutto questo prende vita lo spettacolo Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato: l’omonimo romanzo (ed Solferino) trasportato oggi sul palco del teatro Duse.

Voli di droni, immagini immersive delle opere e dei luoghi in cui il pittore ha vissuto, grandi schermi: come sarà questo spettacolo?

"Ho cercato – racconta lo studioso – in questo binomio tra romanzo e teatro di puntare su un forte impatto visivo, grazie anche alle musiche di Franco Battiato: amava il pittore e spesso ne abbiamo parlato insieme".

Dunque è una scelta musicale dettata anche da un legame personale?

"Sì perché già in occasione della mostra del 2014 a Bologna su La ragazza con l’orecchino di perla per Genus Bononiae, gli chiesi il permesso di usare le sue musiche per lo spettacolo al Teatro Comunale che precedeva di poco l’apertura: lui non solo mi disse di sì, ma venne a Bologna, interpretando alcune canzoni".

Il diario ritrovato non esiste, è un espediente narrativo, ma è basato sui fatti accertati che segnano le ultime settimane di vita di Van Gogh: come viene raccontato questo tempo?

"Con estrema accuratezza, sulla base soprattutto delle sue lettere, che abbiamo. Il diario, come accade nel romanzo, lo faccio ritrovare da Arthur Gustave Ravoux, titolare della locanda dove viveva Vincent tra la fine di maggio e la fine di luglio del 1890. Presto la mia voce, soprapponendola e distaccandomi insieme, alla sua, immaginando pensieri e ricordi".

La tecnologia, oltre alla musica, gioca un ruolo importante in questo spettacolo.

"Abbiamo girato tre anni insieme a una troupe nei luoghi della sua vita: Auvers, ma anche Arles, le Alpille e l’istituto di cura per malattie mentali di Saint-Rémy dove si era fatto ricoverare. E poi naturalmente i suoi quadri, e i colori stupefacenti".

Che cosa potremo impare di nuovo su Van Gogh, al di là di quello che tutti pensiamo di sapere?

"Da molti anni cerco, e come me tanti studiosi, di spazzare via i luoghi comuni del ’maledettismo romantico’. Il luogo comune della povertà? Non era povero. È vero che ha venduto un solo quadro, ma il fratello Théo gli passava 200 franchi al mese: cifra non da poco e superiore ad esempio allo stipendio del postino Joseph Roulin, che tutti conosciamo per il quadro. La follia? Ma Vincent non era pazzo. Nulla lo certifica. Oppresso da una ’sindrome malinconica’, certo, lo dice lui stesso. Ma non sopporta i pazzi veri della casa di cura e fa di tutto per andarsene. Intanto, questa sua ’malinconia attiva’, come lui stesso la definisce, lo spinge a lavorare, a creare capolavori. In soli 70 giorni ad Auvers dipinge 77 quadri e decine di disegni".

Dunque chi era Vincent Van Gogh?

"Spero di riuscire a trasmettere il suo senso di grande vitalità, di un rapporto ’panico’ con la natura e l’universo, in cui alla fine sceglie di sprofondare".

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