
Negli ultimi giorni di quella che è una delle estati più difficili per l’Appennino romagnolo, funestato dalle frane di maggio e dal terremoto di lunedì mattina, la notizia del riconoscimento a Patrimonio Unesco dei Gessi dell’Emilia Romagna assume i contorni dell’ultimo incoraggiante raggio di sole, quello che saluta tutti promettendo di tornare fra qualche mese.
Per un caso della storia il territorio che ha ottenuto il riconoscimento Unesco – composto da Gessi Bolognesi e di Zola Predosa, Vena del Gesso Romagnola, gessi di San Leo, Alta valle del Secchia, Bassa collina reggiana e grotta di Onferno, nel riminese – si sovrappone a quello, in particolare in provincia di Ravenna, a Brisighella, più colpito dalle frane causate dalle alluvioni di maggio, e, proprio in queste ore, dal terremoto. "Quella di oggi è una grande vittoria per queste comunità – commenta Massimiliano Costa, biologo ravennate e presidente del comitato scientifico di candidatura –. Il merito è soprattutto della Federazione speleologica dell’Emilia Romagna e della Regione, ma spero che tutti sull’Appennino possano gioire con noi". Ai delegati della sessione Unesco, in arrivo da Zambia, Messico, Argentina o Thailandia, che gli hanno chiesto come mai i gessi emiliano-romagnoli siano appena il quinto sito italiano di carattere naturale a diventare Patrimonio Unesco – dopo l’Etna, le Dolomiti, le Eolie e le Faggete vetuste –, Costa ha risposto che "dobbiamo immaginare sotto le nostre colline un pianeta sotterraneo capace di lasciarci senza fiato esattamente quanto le vedute dell’Etna o delle Dolomiti". Nei gessi si spalanca "un mondo capovolto in cui troviamo pareti di roccia, torrenti e bacini sotterranei, grandi sale, stalattiti, creature degli abissi, fossili e reperti archeologici. Le colline sono invece la casa di specie come il lupo, il cervo, il gufo reale, il falco pellegrino: buona parte della fauna italiana". E a chi voleva sapere come mai proprio qui delle grotte nei gessi siano diventate Patrimonio Unesco, Costa ha ricordato la presenza in questo territorio di scienziati e università, che fin dal ‘600 hanno inviato le loro menti migliori a osservare quel mondo sotterraneo. "Nessun altro sistema carsico conta quattro secoli di studi".
Ma cosa cambierà per chi vive sull’Appennino? "La cava di Monte Tondo, nel ravennate, non verrà ampliata, e ci sono dieci anni di tempo – dice Costa – per diversificare la produzione dell’azienda che lavora il cartongesso. Qui arriveranno probabilmente più turisti, ma l’Unesco ci chiede di moderarne i flussi, a tutela degli habitat. E’ una necessità che forse altrimenti non ci avrebbe spinto ad agire, non subito. Le grotte visitabili rimarranno cinque – la Spipola nel bolognese, e in Romagna la Tanaccia, la Grotta del Re Tiberio, Ca’ Toresina e la grotta di Onferno – e sempre insieme alle guide: non ci sarà overtourism. Inoltre mi piace ricordare che quello bolognese e romagnolo è un Appennino vivo anche grazie ai parchi regionali, quelli che ora hanno ottenuto il riconoscimento. Nella sola Vena del Gesso, quando ero direttore, alcuni anni fa, contai trentasei agriturismi: immaginando che ciascuno di questi abbia anche solo due dipendenti, parliamo di una boccata di ossigeno per l’economia della montagna".
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