"Ho denunciato la banda. E vivo nella paura"

Parla il ragazzo pakistano che ha permesso alla polizia di identificare gli Ak-47: "Continuano a minacciarmi anche adesso"

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di Nicoletta Tempera

"Queste persone non hanno paura di niente. E continuano a minacciarmi". Ahmed (il nome è di fantasia) ha 21 anni. Da due è in Italia e, a dicembre dello scorso anno, è iniziato il suo incubo. Il ragazzo pakistano è infatti una delle vittime degli ‘Ak-47’, la gang di suoi connazionali finita nel mirino della polizia, con undici giovanissimi (cinque sono minorenni) indagati per rapina, lesioni aggravate e porto d’armi. È stato proprio Ahmed che, assieme ai due amici vittime come lui dell’aggressione del 18 dicembre scorso in zona Corticella, ha dato l’indirizzo giusto alle indagini, trovando il coraggio di denunciare e spezzando l’omertà che regna attorno a questa banda da parte della comunità pakistana.

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Ahmed, come è entrato in contatto con i membri della gang? Perché l’hanno presa di mira?

"È iniziato tutto un paio di giorni prima dell’aggressione. Su Instagram avevo iniziato a parlare con una ragazza che vive a Milano, ma che viene dalla mia stessa città del Pakistan. Subito dopo questa conversazione, ho iniziato a ricevere minacce. Uno dei membri della gang mi ha scritto di lasciare perdere la ragazza. Io gli ho detto che non lo avrei fatto e che non erano comunque affari suoi. A quel punto, ho iniziato a ricevere telefonate e massaggi di insulti e minacce. Non solo da lui, ma da tutti i membri della gang e persino da un altro soggetto che vive in Germania. E poi mi hanno chiesto un confronto".

Ha avuto paura?

"In realtà non credevo che potesse accadere quello che è poi successo. Altrimenti, visto che avevo anche un braccio rotto, non sarei andato all’appuntamento al parco".

Quanti erano?

"Io ero assieme a due miei amici. Loro erano in 15 o 16. Armati di mazze, tirapugni e coltelli. Ci hanno subito aggredito. Io sono stato una notte in ospedale, un altro mio amico, ferito al petto da una coltellata, di più".

Come ha trovato il coraggio di denunciare?

"Grazie ad alcuni amici in Italia da tanti anni, che mi hanno detto di fidarmi della polizia. Siamo andati in Questura e ho mostrato agli agenti i profili sui social dei miei aggressori".

Adesso la banda è finita nei guai. Ma non ha smesso di perseguitarla...

"Macché. Ho ricevuto telefonate di minacce anche oggi (ieri, ndr). Mi dicono di ritirare la denuncia, ma non lo farò".

La comunità pakistana le è stata vicina in questi mesi?

"I miei amici sì. Ma gli altri si stanno accorgendo solo adesso della pericolosità di queste persone. Prima minimizzavano. Dicevano ‘sono ragazzi, è stato un gioco’. Un gioco che io ho pagato e continuo a pagare sulla mia pelle".

Hanno minacciato anche altre persone vicine a lei?

"All’epoca dell’aggressione abitavo anche io in Corticella. Quando i membri della gang hanno saputo che li avevo denunciati, hanno chiamato il mio padrone di casa dicendo che se non voleva guai mi doveva cacciare. E così ha fatto. Ora vivo a casa di alcuni amici, ma questa situazione non può durare: sono in Italia con un permesso di asilo con validità di sei mesi, rischio che non mi venga rinnovato. E poi non ho paura solo per me".

Per i suoi famigliari?

"Sì. Hanno minacciato di far male alla mia famiglia in Pakistan se non accetto le loro condizioni, se non mi piego".

Lei si piegherà?

"No, tornerò a denunciarli, portando in Questura i messaggi che mi hanno mandato in queste ore e anche i post dove rilanciano gli articoli usciti ieri su di loro. Vantandosi, invece di vergognarsi".

 

 

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