"Ho sognato il ‘Mondodopo’: sarà più bello"

Da Alberto Bettini della Trattoria Amerigo una lettera-speranza: "Impariamo a rialzarci come i pugili, da bravi incassatori"

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Una lunga lettera al Carlino e a tutti i suoi lettori: è quella che scrive Alberto Bettini, della ‘Trattoria Amerigo 1934’ a Savigno. È una lunga tradizione di professionalità quella della trattoria fondata dal nonno di Alberto, Amerigo appunto, nel 1934 e che dal 1998 ha una stella Michelin. Una professionalità che Alberto Bettini, con la compagna Marina e Giacomo Orlandi in cucina, vede oggi messa alle strette dall’emergenza Coronavirus. E la sua riflessione, preoccupata ma che prova a guardare avanti, è in fondo comune a tanti imprenditori e lavoratori in questi giorni così difficili.

"Anno Domini Ventiventi. Sono passati più di venti giorni. Abbiamo avuto venti gradi e venti centimetri di neve. Abbiamo fatto e visto fare di tutto, tutto giusto e tutto sbagliato. Siamo stati giardinieri, hikers, casalinghi, lettori, spettatori, ciappinari. Abbiamo letto decreti, partecipato a chat e call con amici e consulenti. Abbiamo sfogliato libri vecchi e riviste online, guardato serie televisive, partite di calcio degli anni ‘50 e documentari meravigliosi. Abbiamo visto cuochi cucinare in mille dirette; artisti e gente comune cantare; filosofi, tuttologi ed economisti dire la loro; gente comune accanirsi contro chi esce, contro Conte, contro chi ha o non ha, chi fa o non fa.

Contro. Improvvisamente giornate interminabili sono ridiventate corte, esattamente come prima. Troppo da fare, troppe possibilità. Ci stiamo perdendo il vero lusso di questa quarantena: il tempo per pensare, quello che ci è sempre mancato, il dono gratuito più incredibile che abbiamo ricevuto, secondo solo al sogno. Allora meglio far meno, o niente, per una volta nella vita. E pensare o sognare. Ho pensato. Ho pensato di proporre menu da consegnare nelle case. Solo occasionalmente, creando eventi. Ho pensato che avremmo fatto contenti tanti clienti ma messo a rischio la salute dei miei ragazzi addetti alle consegne. Ho pensato di non chieder loro di farlo anche se sono certo che avrebbero accettato. Peccato, mi sarebbe piaciuto confortare anche solo per un giorno chi ci ha frequentato per decenni. Ho pensato che ci ripenserò, in un momento più sicuro, se saremo chiusi ancora per tanto.

Ho pensato che sarebbe bello poter ridare stesso lavoro e stipendio a tutti quelli che erano con noi in trattoria l’ultima sera, l’otto marzo. Sarà difficile; per un po’ il mondo e la sua gente saranno all’angolo con gli occhi gonfi come un pugile a fine carriera, all’ultimo round. Come un ciclista col fiato corto e le gambe molli sul Mont Ventoux sotto il sole di luglio. Pugilato e ciclismo, sport di fatica, sudore e lacrime. Ripartiamo da lì. Ridiventiamo bravi incassatori con la gamba solida e generosi gregari che portano borraccia e panino a chi li apprezza. In questo nuovo mondo i capitani, gli assi effimeri, belli e impomatati ci faranno sorridere. E di sorrisi ci sarà bisogno.

Ho sognato che il Mondodopo non sarà lo stesso ma sarà bello e vero, con meno cattiveria e più cultura. Ci si rapporterà con meno IO, con più noi e più condivisione. Con più artigiani, contadini e allevatori giustamente remunerati e giustamente interpretati da noi ristoratori. Con le botteghe di campagna a rifiorire vendendo cose buone senza ottuse difficoltà burocratiche. Ho sognato che il telefono squillerà e il nuovo ospite chiederà l’idea di cucina, gli ingredienti e la provenienza di un cibo, prima del costo. In quel sogno eravamo in tanti e non ci saremmo mai voluti svegliare.

* Titolare della Trattoria

Da Amerigo 1934

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