
Amedeo e Simone Pace con Kazu Makino, ovvero i Blonde Redhead
C’è un gruppo-emblema dell’avanguardia newyorkese come i Dna di Arto Lindsay dietro al nome Blonde Redhead che i gemelli milanesi Amedeo e Simone Pace si sono dati per affrontare il mondo dell’indie assieme alla cantante giapponese Kazu Makino. Venerdì scorso la band italo-nipponica naturalizzata statunitense ha pubblicato un nuovo album, The shadow of the quest e stasera lo presenta in concerto al popolo delle Caserme Rosse con un piede nel passato e l’altro nel futuro. Questo perché The shadow of the quest altro non è che una rivisitazione "sognante e leggermente inquietante", parola della band, del predecessore Sit down for dinner, pubblicato nel 2023 dopo nove anni di silenzio rotti solo nel 2017 dall’ep 3 O’Clock. A parlarne è la stessa Kazu Makino, anticipando il concerto di questa sera al Parco delle Caserme Rosse per il festival Bonsai (ore 20.30).
Perché avete deciso di riprendere in mano un disco così recente? "Dopo essere stata scritta, la musica passa attraverso il processo di registrazione e poi quello del live evolvendosi di continuo. Il disco ferma questo processo e la cosa non mi piace troppo, perché penso dovrebbe essere diritto di ogni artista poterla rielaborare all’infinito, o quasi. Sit down for dinner, ad esempio, avremmo voluto registrarlo coi cori, ma, in tempi di pandemia ci vedemmo costretti a rinunciare. Ci siamo riusciti ora".
Quali vostri album sono cambiati di più nel tempo? "Beh, Barragán al momento della pubblicazione non fu apprezzato dalla critica come 23 o Misery is a butterfly e contiene almeno un paio di canzoni che vorrei rifare o quantomeno rimetterci mano".
Il pubblico dei Blonde Redhead è lo stesso ovunque o cambia a seconda della latitudine? "Quando mi esibisco chiudo gli occhi per quasi per tutta la durata dello show. Il pubblico, infatti, ci sostiene al punto da proiettarci in un’altra dimensione. E quando la folla è così appassionata, la musica diventa qualcosa di nuovo. Amedeo e Simone sono di Milano e quella per loro è un po’ casa, quindi quando suoniamo lì ci sono familiari, parenti, e un’emotività particolare. Tutto sommato, meglio per me che non conosco nessuno".
Quanto ha impattato sei anni fa la sua prima esperienza solistica ’Adult Baby’ sui destini della band? "Ha cambiato tutto. Dimostrando che potevo fare musica anche da sola, mi ha dato molta più convinzione. Volevo sentirmi indipendente, così mi sono trasferita all’Isola d’Elba per provare a ritrovare me stessa e capire se volessi proseguire la strada assieme ai miei compagni o no. Quando sono rientrata negli Stati Uniti e i gemelli mi hanno proposto di fare un altro album assieme ho accettato con animo nuovo".
Ora che progetti avete? "C’è tutta una serie di cose in ballo, fra cui alcune collaborazioni con organizzazioni umanitarie. Vorremmo pure fare un concerto con un coro. E io vorrei regalarmi un altro disco solista. Superati i trent’anni di attività, stiamo pensando pure ad un documentario sulla band".