FEDERICA ORLANDI
Cronaca

I colloqui (negati) di Pifferi e Caria: "Per coltivare il legame affettivo"

Il killer di Silvia Caramazza aveva scritto alla madre della piccola Diana: siamo cugini, ma era falso

Giulio Caria e Alessia Pifferi: colloqui telefonici negati per i due

Bologna, 11 ottobre 2023 – Lei è a processo con l’accusa di avere lasciato morire di fame la figlioletta di appena 18 mesi, abbandonandola per sei giorni a casa da sola con solo un biberon di latte accanto a lei, a luglio dello scorso anno a Milano. Lui, sta scontando in carcere la condanna definitiva a trent’anni per avere ammazzato e nascosto nel freezer la fidanzata, nel 2013, nel loro appartamento in viale Aldini 28, a Bologna.

Ora però i due hanno cercato di mettersi in contatto. Il 29 novembre 2022 infatti Alessia Pifferi, la madre della piccola Diana, dal carcere di San Vittore in cui è detenuta ha presentato richiesta di autorizzazione a colloqui telefonici con Giulio Caria, 44 anni, rinchiuso nel carcere di Sassari per avere ucciso con sette colpi alla testa l’allora fidanzata Silvia Caramazza, 39 anni. Fine pena, 2043.

Stando a quanto riportato da Repubblica, sarebbe stato Caria il primo a cercare un contatto con la donna, scrivendole una lettera in cui affermava di essere suo cugino, parentela risultata fasulla. Qualche tempo dopo però la donna ha poi inviato la richiesta di colloquio telefonico, motivato dall’intento di "coltivare il legame affettivo", si legge nel documento, definendo Caria un "amico". Il tribunale di Milano ha rigettato la richiesta.

Non solo. A quanto si apprende, la donna poche settimane fa avrebbe cercato di mettersi in contatto con il difensore di Caria ai tempi del processo, l’avvocato Gennaro Lupo, non riuscendo però a stabilire un contatto. Nel frattempo si è poi avviato il processo per omicidio aggravato a suo carico a Milano.

La vicenda di Giulio Caria invece risale a dieci anni fa. Al 27 giugno 2013, per la precisione, quando fu ritrovato il corpo senza vita della commercialista trentanovenne Silvia Caramazza, chiuso dentro due sacchi dell’immondizia messi all’interno di un congelatore a pozzetto installato nella sua camera da letto, alle porte della città. Immediatamente i sospetti si concentrarono sul suo fidanzato, che al momento del ritrovamento del cadavere era scomparso. Fu ritrovato 48 ore dopo in Sardegna – Caria è originario di Berchidda, in provincia di Sassari – e da allora si è sempre professato innocente, riferendo anzi di essersi recato in Sardegna proprio per organizzare il matrimonio con la donna. Una versione che non convinse mai la Corte d’assise. Secondo le ricostruzioni dell’accusa, Silvia era rimasta chiusa in quel congelatore per giorni, quasi venti, prima che il suo corpo fosse ritrovato; per tutto quel tempo, era stato il fidanzato a rispondere ai messaggini preoccupati delle amiche spacciandosi per lei, e a fingere che lei si negasse al telefono ma fosse lì accanto a lui.

Il movente dell’omicidio sarebbe stato il fatto che lei voleva lasciarlo, stufa della sua gelosia e

delle sue vessazioni fisiche e psicologiche, ma lui non voleva saperne, anche perché da anni lei, benestante, lo manteneva. Dopo il delitto, l’assassino le spezzò perfino un dito per rubarle un anello che era rimasto incastrato.

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