I lavoratori dell’ex Breda: "È l’ora di investire"

Sciopero alla Industria italiana autobus. I sindacati: "L’azienda può essere protagonista della svolta green, ma la proprietà è immobile"

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"Non possiamo perdere questo autobus, potrebbe essere l’ultimo". Questo lo slogan scelto dai sindacati Fiom, Fim e Uilm, per sollecitare azienda e istituzioni ad accelerare il rilancio della Industria Italiana Autobus (IIA), l’ex Bredamenarinibus di Bologna. Ieri i lavoratori hanno incrociato le braccia per "accendere un faro" su questa società, che, con la rivoluzione green alle porte e la disponibilità data dal Pnrr, potrebbe avere davanti a sé un’autostrada.

Quattro anni fa, l’allora ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, prometteva ai cancelli di via San Donato di salvare la storica azienda produttrice di bus, in cattive acque: così è stato, oggi la proprietà è divisa tra Leonardo, Invitalia, entrambi pubbliche, e i turchi di Karsan. Ma ora serve uno sforzo in più.

"La situazione è paradossale – esordisce il funzionario Mario Garagnani (Fiom) -. Nei prossimi 10 anni, l’Italia avrà bisogno di 17mila autobus elettrici, noi abbiamo già più di mille ordini confermati in portafoglio, ma la difficoltà di reperire liquidità e materiali ci fa lavorare al 30-40% delle potenzialità. È il momento di rinnovare le linee, i layout dei nostri prodotti, di investire davvero per essere pronti, in autunno, dove il flusso di materie prime dovrebbe essere ripristinato".

Due gli stabilimenti IIA in Italia: uno a Flumeri (Avellino), adibito alla produzione in serie, con 350 dipendenti, e quello bolognese, che occupa 180 addetti, di cui 80 in produzione. "Di questi, un terzo circa andrà in pensione nei prossimi anni, c’è bisogno di forze nuove che vanno formate", insiste Garagnani. Lo stabilimento di via San Donato fa tutte le tipologie di prodotto, anche se ormai la metà degli ordini riguarda modelli elettrici, a cui si aggiungono quelli a metano e ibridi, un ristretto numero prototipale a idrogeno, e i diesel che entro il 2025-2026 non usciranno più dalle linee.

"È necessario avere tavoli di confronto, anche se questa azienda ne ha avuti già tanti. Questi tavoli, però, devono dare un’uscita industriale a questo stabilimento e gli accordi devono essere monitorati", ammonisce il segretario regionale della Fim-Cisl, Roberta Castronuovo, al presidio con Giuseppe Di Stefano della Uilm-Uil. "Lo sciopero dice che serve ripristinare un’alleanza con livelli istituzionali – scandisce Michele Bulgarelli, segretario della Fiom di Bologna –, non possiamo rischiare di perdere posti qui, anche perché l’alternativa alla riconversione è la dismissione, sarebbe inaccettabile. Stiamo lottando per il futuro".

Problema collaterale: la fine, decisa unilateralmente dall’azienda, dello smart working, considerata dai lavoratori "punitiva". Presente al presidio il consigliere di Coalizione civica, Detjon Begaj, che ricorda come "lo stabilimento potrà essere un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2030 che si è dato il Comune di Bologna, i soci pubblici devono pertanto garantire la messa a terra delle commesse".

Andrea Bonzi

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