I legali di Cavallini: "I pm? Giusto impugnare l’atto"

L’avvocato Pellegrini: "Non esistono in passato decisioni del genere". Bordoni: "Ma resta tanta amarezza per queste diverse scelte di metodo"

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"Evidente che quello che sta accadendo sia indice di un grave contrasto tra magistrati...". Nessun dubbio da parte di Alessandro Pellegrini, difensore di Cavallini con Gabriele Bordoni. Un contrasto istituzionale che, negli annali della Strage, non è certamente unico. Il più clamoroso, siamo negli anni ’80, portò l’allora Procura a perquisire gli uffici del giudice istruttore, con tanto di intervento poi del Csm. Ultimo, nel 2017: l’avocazione del fascicolo sui mandanti da parte della Procura generale, che di fatto revocò la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura ordinaria. "Con una certa amarezza – dice l’avvocato Bordoni – rilevo che perdura uno scontro di impostazione e di metodo nell’affrontare la tematica da parte della Procura, da un lato, e dall’altro Procura generale e Corte d’Assise. Nella stessa città abbiamo tre istituzioni che vanno in due direzioni diverse". Poi sull’impugnazione annunciata dai pm: "Corretta sul piano tecnico in quanto la decisione intervenuta con la sentenza non riqualifica un fatto ma lo modifica nella sua struttura".

Scrive il presidente della Corte, Michele Leoni, nelle motivazioni della sentenza Cavallini: "Che a 37 anni di distanza l’imputazione sia di nuovo ‘implosa’ in un’ottica minimalista e spontaneista, che riconduce tutto alla dimensione autarchica di 4 amici al bar che volevano cambiare il mondo (con bombe, coperture e depistaggi), lascia perplessi". E tira in ballo alcuni passaggi delle requisitorie dei pubblici miisteri. In particolare quella di Enrico Cieri: "Noi – spiegò il pm in aula – non ci occuperemo di Anello, P2, Gelli, della Commissione Moro, di Piersanti Mattarella e nemmeno di Picciafuoco". Ripetendo più volte la necessità di basarsi "su fatti storici che non possono essere oggetto di congetture", perché "la congettura è un indizio debole". Perché, aggiunse, "ci troviamo di fronte a persone che hanno massacrato cittadini innocenti in nome di una folle idea rivoluzionaria". Nonostante gli sforzi investigativi, però "il giudizio di responsabilità contro Cavallini rimane affidato a un processo indiziario", dove non è stato acquisito "nessun elemento di novità rispetto alle sentenze passate".

Passaggi che oggi la Corte critica pesantemente. "Non credo esistano altri casi del genere, in materia di terrorismo, – così l’avvocato Pellegrini – di una Procura che impugna una sentenza che gli dà ragione. Comunque, la qualificazione che ne dà dei Nar, gruppo spontaneista e non killer di Stato teleguidati, è giusta e dimostrata da plurime sentenze". Un commento sull’impugnazione arriva anche da Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione vittime: "Dal punto di vista tecnico, non mi pronuncio. Mi limito però a ribadire che criticai Cossiga quando definì spontaneisti i Nar".

n.b.

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