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FEDERICA ORLANDI
Cronaca

I rimpianti della mamma "Non ho visto l’oscurità"

Lo zio e la madre dell’imputato: "Non avevamo capito quanto fosse fragile". Sbalzi d’umore e "strafottenza", la rabbia alla proposta di vedere un medico.

I rimpianti della mamma  "Non ho visto l’oscurità"
I rimpianti della mamma "Non ho visto l’oscurità"

di Federica Orlandi

Una lettera, quasi una poesia, che lo zio di Giovanni Padovani gli invia in carcere. "Lontani, troppo. Tutti questi anni senza sapere niente di te. Non ho compreso le tue sofferenze, le nascondevi bene con il muso duro e l’aria strafottente. Guardo le tue foto da bambino: nessuno nasce cattivo. Qualcosa avevi dentro e urlava per uscire. Ora è il momento del pentimento. Fai in modo di essere d’aiuto a qualcuno, dona la tua vita per il bene di chi ha bisogno. La partita della vita non è finita, se vorrai potrai essere d’aiuto ad altre persone".

Un suggerimento al nipote che di vite ne ha rovinate troppe. Ha spezzato con atroce brutalità quella di Alessandra Matteuzzi, l’ex fidanzata, per il cui omicidio – aggravato da stalking, legame pregresso, premeditazione, futili motivi – è a processo in Corte d’Assise. Quelle della famiglia della vittima. E quelle di chi voleva bene a lui.

Sua madre, nella loro Senigallia, nota gli sguardi bassi e i passi affrettati di tanti che la incontrano e prima la salutavano. E si dispera per non avere saputo vedere l’oscurità dentro a "questo figlio", come lo chiama. "Quando mi hanno chiamato da Bologna – racconta –, tutto avrei pensato, mai questo. Mio figlio maggiore mi ha detto: mamma, la polizia ha chiamato papà, è successo qualcosa di brutto con Giovanni. Ho pensato: a forza di guidare di notte ha fatto un incidente. Pensavo di essere pronta a tutto. Ma questo? Questo no. Da bambino, quando ero giù mi diceva ’forza mamma’. Raccontava le barzellette. Mi abbracciava quando andavo in pezzi. Proteggeva suo fratello, più grande, ma fragile. Ora fa questo? Io non l’ho capito. Non ho saputo prevenire la tragedia".

Mette le mani nei capelli, nasconde il viso. "Abbiamo sbagliato. Gli abbiamo insegnato che un uomo non deve farsi vedere fragile. E lui l’ha fatto anche con noi: non ci ha mai detto che stava male. Da anni poi girava l’Italia per il calcio e non abitava con me. Io lavoravo e mi occupavo di suo fratello, l’ho lasciato troppo col padre, una persona complicata. Nei mesi con Alessandra, vedevo i suoi sbalzi d’umore, le bugie, le partenze improvvise per andare da lei. Gli dicevo: non stai bene, andiamo da un medico. S’infuriava. Poi è tornato in Sicilia e non se n’è più parlato". Le condizioni del figlio, ricostruisce, si sarebbero incrinate prima della storia con la la vittima, dopo "l’operazione al menisco e all’inguine. Prendeva antidolorifici per giocare, incolpavo quelli per il suo essere ’sballato’: lamentava male ai denti, perdeva i capelli, cambiava l’umore". Questo figlio in carcere, però, "non riesco a chiamarlo mostro. Quello che ha fatto, sì, è mostruoso. Spero che i medici lo aiutino. Ho un rimpianto". Quale? "Se mi avesse chiamata, quella notte, so che l’avrei calmato. Non l’ha fatto. Era già perduto".