"I Savi, un segreto italiano: si riaprano le indagini"

Lo scrittore Carlo Lucarelli sulla proposta del fratello del carabiniere Mitilini. Trent’anni fa la strage del Pilastro dove i tre giovani militari furono trucidati

Carlo Lucarelli

Carlo Lucarelli

di Nicoletta Tempera

"La frase che negli anni mi ha provocato più dolore, quando si parla della strage del Pilastro, l’ha pronunciata la mamma di un carabiniere ucciso. ‘Lui era tanto contento di essere venuto a lavorare a Bologna, gli piaceva tanto questa città’, diceva. E pensare che a Bologna quel ragazzo sia stato ammazzato mi ha creato negli anni e mi crea adesso ancora tanta rabbia". Lo scrittore Carlo Lucarelli si è occupato a lungo della Banda della Uno Bianca. Ogni aspetto già ‘scritto’ di questa storia di sangue, che ha prodotto 24 morti e oltre cento feriti, è stato vagliato, ma per Lucarelli, la banda dei fratelli Savi resta "un segreto italiano".

Lucarelli, perché?

"Le indagini hanno fatto chiarezza su molti aspetti della storia criminale della Uno bianca, ma ci sono dei buchi, risposte che mancano. Non è chiaro se i Savi siano stati terroristi che si comportavano come banditi o banditi che si comportavano da terroristi, perché atti come il raid al campo nomadi o contro i senegalesi non tornano con la storia criminale di una banda di rapinatori, seppure efferati".

Oggi ricorrono i tent’anni dalla strage del Pilastro, dove furono trucidati i carabinieri Otello Stefanini, Andrea Moneta e Mauro Mitilini. Il fratello di quest’ultimo chiede che vengano riaperte le indagini. Cosa ne pensa?

"Ben vengano nuove indagini, se permetteranno di arrivare a nuove verità. Perché è chiaro che ci sono delle zone d’ombra troppo profonde in questa storia bolognese: fratelli Savi e compagni hanno goduto per un sacco di tempo di impunità. Questa circostanza pone davanti a un bivio: se nessuno li ha coperti o aiutati, vuol dire che c’era tanta incompetenza in chi ha fatto le indagini su di loro".

Pensa a connivenze, aiuti dall’alto?

"Penso a un sostegno materiale, una copertura, a qualcuno che ha sviato le indagini".

Ludovico Mitilini ha parlato di incongruenze, di circostranze strane in quella notte di gennaio al Pilastro...

"Già di per sé è strano che accadesse qualcosa al Pilastro senza che la malavita locale ne sapesse nulla. In quegli anni al Pilastro c’era una densità sociale mafiosa non indifferente. E in un contesto del genere il fatto che i fratelli Savi arrivino e facciano una strage, nel silenzio totale, mi rimane difficilmente credibile".

Erano anni complessi per Bologna...

"Bologna è stata la città che ha pagato più di tutte in quegli anni di confusione e sangue. Ustica, la stazione... Quando sulla città si è allungata anche l’ombra della Uno bianca Bologna era già martoriata e ferita. Ma era ancora una città dove una persona, come il povero Primo Zecchi, se vedeva una rapina, chiamava la polizia. E che una banda di criminali, mossi solo da una sete di denaro, tornasse indietro per freddarlo solo per questo, resta incredibile. In una città che aveva subito sulla propria pelle il terrorismo, le azioni dei fratelli Savi e dei loro gregari sembravano più azioni di terroristi, che di banditi".

L’associazione dei famigliari delle vittime chiede la digitalizzazione degli atti delle inchieste sulla Uno bianca. Una strada già percorsa per un altro mistero italiano, la strage del 2 agosto alla stazione.

"Sarebbe utilissimo, una cosa straordinaria. Ci sono informazioni infinite che possono essere scandagliate, confrontate. E qualche strada, che porti a fare un po’ più di chiarezza in questa storia, sicuramente potrebbe emergere, come già accaduto per la strage del 2 agosto. Grazie alla digitalizzazione degli atti e al lavoro di analisi che è stato fatto su quelle carte, si è aperto il processo ai mandanti della bomba alla stazione".

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