I soldi a Bellini e l’intreccio della galassia nera

La Procura generale ha depositato nel processo una memoria con parte delle accuse, mentre continua a indagare sui flussi di denaro

Strage 2 agosto, il processo ai mandanti (Foto Schicchi)

Strage 2 agosto, il processo ai mandanti (Foto Schicchi)

Non c’è solo la foto di quell’uomo con baffi, capelli neri e una catenina al collo, ripreso nel filmato amatoriale alla stazione dopo l’esplosione che provocò 85 vittime. O il riconoscimento dell’ex moglie, Maurizia Bonini: "E’ lui". Perché nella sfilza di elementi che, secondo la Procura generale inchioderebbero Paolo Bellini, accusato di concorso in strage, spunta un’intercettazione ambientale tra la Bonini e il figlio. Tutto nero su bianco nelle 158 pagine (oltre a migliaia di allegati) di memoria depositata venerdì dai magistrati di Palazzo Baciocchi. Bellini, 68 anni, collaboratore di giustizia già uscito dal programma di protezione, avrebbe agito con i Nar già condannati e con "altri da identificare, allo scopo di attentare alla sicurezza interna dello Stato".

L’intercettazione. Undici luglio 2019. La foto coi baffoni che ritrarrebbe l’ex killer reggiano, dopo la revoca della sentenza di non doversi procedere (del 28 aprile 1992), in quei giorni campeggia sui giornali. "Per me è lui, lo ricordo da giovane. Ha la fossetta qui sotto", così la ex moglie di Bellini al figlio Guido il quale però ha una secca reazione: "Ma te sei fuori. E’ la faccia di un altro. Fatti ricoverare. Non è assolutamente lui, non riconosci nemmeno tuo marito...". In quegli stessi giorni, gli inquirenti setacciano l’abitazione della Bonini e quella della figlia a Reggio Emilia e sequestrano alcune catenine. "Paolo – dirà lei il 2 agosto 2019 – ne aveva una con una medaglietta e un crocifisso". Le viene mostrato un frame del filmato ripreso da un amatore sul primo binario la mattina del 2 agosto ’80. Quell’uomo con i baffi, "non sono certa sia lui – dice – Anche perché non vedo nessuna catenina". Quelle parole non convincono e la donna finisce indagata per falso. Il 12 novembre 2019 torna in Procura generale, la versione muta: "Adesso che vedo il fotogramma più ripulito... sì, è Paolo". Una delle catenine sequestrata, poi, stando a una consulenza fatta lo scorso anno, sarebbe compatibile con "quella che indossa l’uomo del fotogramma". Nella memoria si fa riferimento anche alla falsa identità brasiliana di Roberto Da Silvia, nome che Bellini usò durante la sua latitanza in Italia. Non è finita. Nelle 158 pagine si parla anche di "flussi di denaro" diretti a Bellini e dei rapporti tra Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale e assolto dall’accuse legate alla Strage, e Umberto D’Amato, il potente prefetto (morto) che per i magistrati sarebbe uno dei mandanti dell’orrore alla stazione.

Lo stralcio. Intanto resta aperto lo stralcio sempre legato al denaro distratto dal crac Ambrosiano e legato a Licio Gelli. Top secret i nomi degli indagati. Inchiesta partita dal ’documento Bologna’, ritrovato nel 2019 nell’archivio di Stato di Milano dai magistrati bolognesi e tenuto nascosto per anni con tanto di annotazione dei Servizi. Una delle figure chiave sarebbe Marco Ceruti, indagato per falso anche se contro di lui potrebbero essere mossi addebiti più gravi. Per la Procura, c’è la convinzione che il 30 luglio ’80, a Roma, fossero presenti Fioravanti, Mambro e Gelli, che soggiornava all’Hotel Excelsior. Assieme a Ceruti, prestanome e cassiere del Venerabile. Pochi giorni prima Ceruti avrebbe ricevuto un milione di dollari, anticipo dei cinque pattuiti per la strage.

Nicola Bianchi

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