Killer di Budrio, reportage nella Spagna terrorizzata da Igor

"Sangue e ruberie tutte le notti". I contadini: "Pensavamo a un ladro, era un assassino"

Il funerale di un delle tre vittime spagnole e sotto Igor 'il russo'

Il funerale di un delle tre vittime spagnole e sotto Igor 'il russo'

Teruel (Spagna), 17 dicembre 2017 - El Ventorrillo è una scritta in blu sbiadita su una cascina diroccata. Tutt’intorno è il deserto. Strade sterrate, aride, battute dal vento, arbusti bassi e secchi, vecchi casolari senza più pareti, né padroni. Sembra la Mesa, questo angolo di Spagna dove si muove solo la polvere, alzata dal passaggio dei fuoristrada della Guardia civil. La polizia spagnola, come otto mesi fa i carabinieri nella Bassa, pattuglia l’accesso ai sentieri che portano alla finca dell’ultimo atto della saga di sangue di Norbert Feher

AGGIORNAMENTO: Igor davanti al giudice

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 Gli omicidi di Davide Fabbri e Valerio Verri (FOTO e VIDEO)

Igor el ruso, come lo chiamano qui, ora è chiuso in una camera di sicurezza nella vicina cittadina di Teruel. Questa mattina sarà sottoposto all’equivalente iberico della convalida. Giovedì sera, erano da poco passate le 19, il killer serbo del barista di Budrio Davide Fabbri e del volontario di Portomaggiore Valerio Verri ha sparato a bruciapelo al proprietario del Mas del Saso, José Luis Iranzo, e ai due poliziotti dell’equipaggio ‘Roca’, specializzato nel contrasto ai furti nelle proprietà agricole, Victor Romero e Victor Jesus Caballero, che erano con lui. E ieri, per tutta la giornata, il personale della Scientifica ha setacciato la cascina.

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Feher, nella sua instancabile peregrinazione latitante, aveva trovato in questo vecchio complesso il suo ultimo rifugio. Isolato, lontano dalla strada poco trafficata che conduce da Andorra ad Albarate de Arzobispo. Dieci minuti di auto separano i due pueblitos. E Igor, da almeno un mese, sopravviveva qui, in questo fazzoletto di terra. Si nascondeva nelle case disabitate, rubava di notte cibo e vestiti. Si comportava come sapeva, come aveva già fatto, per anni, nella Bassa tra Ferrara e Bologna. Realtà diversissime, l’Aragona e l’Emilia, ma per tanti versi famigliari. I canali e la nebbia non sono il vento e la sabbia. Ma le tante case sperdute tra le campagne, vissute solo come appoggi per il lavoro agricolo o come residenza per le vacanze, sono le stesse.

Come la piccola villetta di Almozara, su Rio Martin, nascosta da un canneto, tra collinette di terra rossa e sassi. Qui, lo scorso 5 dicembre, un uomo ha sparato al proprietario di casa, Moreno, e al fabbro che lo aveva accompagnato perché da qualche giorno la serratura non funzionava. «Da almeno una decina di giorni c’erano furti frequenti nelle case qui intorno», racconta Samuel, un amico di Moreno. «Eravamo preoccupati, ma non avevamo idea. Pensavamo fosse un ladro comune. Poi ha sparato in pancia a Moreno e anche al fabbro, lo ha colpito al braccio». Un assassino, scambiato per un ladro di polli. Ma ancora, dieci giorni fa, non era Igor. «Non avevamo paura, perché non sapevamo».

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Lo ripetono ad Albalate e Andorra, dove nel pomeriggio, nella piazza di fronte alla cattedrale di Nuestra Senora de la Natividad una folla piange, ma in un silenzio pesante e composto, il suo concittadino Iranzo. I funerali dei due agenti della Guardia civil ci sono già stati, nella mattina. È uno strazio collettivo. Un déjàvu che parla un’altra lingue, ma porta le stesse lacrime.

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