Gianni Cavina e il balcone in Bolognina: ombelico della sua città

Nonostante la parentesi romana, l’attore non ha mai voluto lasciare il rione di famiglia. L’amore per il calcio e il Bar Margherita

Gianni Cavina sulla Torre Asinelli

Gianni Cavina sulla Torre Asinelli

Bologna, 27 marzo 2022 - "Un attore con un percorso unico, perché è andato a Roma ad un certo punto della sua carriera ma poi è tornato a Bologna perché dalla città non riusciva a staccarsi". Lo ricorda innanzitutto così Gianni Cavina, il direttore della Cineteca Gian Luca Farinelli, che nel corso della sua direzione ha avuto modo di incontrarlo tante volte, al Lumière e in piazza, in occasione della presentazione di film.

Il ricordo di Pupi Avati: "Grazie per non avermi mai lasciato solo"

E in effetti, questo grande amore forse ancor prima che per Bologna, nei confronti della sua Bolognina (che era il rione della sua famiglia), è il dato che emerge fortissimo in tanti ricordi. Perché Cavina, la ’musa’ di Pupi Avati, che con il grande regista debuttò in ’Balsamus’ nel 1968 e che sempre con lui ha chiuso la sua filmografia proprio in questo 2022 recitando in ’Dante’ che ancora deve uscire, continuava ad abitare tra via Matteotti e via Carracci.

L’attore "fuori scuola" e "d’altri tempi", come ancora lo tratteggia Farinelli (ricordando la sua grande amicizia con Sandro Toni, storico direttore della biblioteca Renzo Renzi), e che "forse era felice solo in scena", a Roma andava saltuariamente per il cinema, ma poi tornava qui. Affacciato con lo studio sulla stazione dell’Alta velocità che nel 2008, lavori in corso, lo costrinse anche a protestare insieme all’associazione degli inquilini che come lui non riuscivano più a trovare tranquillità e che avevano subito parecchi danni alle abitazioni.

Era circoscritta soprattutto lì la sua vita, un tempo naturalmente più legata a quella Bologna mitica fatta di teatro, musica jazz e nottate al bar o all’osteria, che fu di una generazione d’oro, da Pupi Avati a Lucio Dalla, passando per Francesco Guccini e Dino Sarti. Col primo Gianni Cavina fu praticamente famiglia, col secondo iniziò facendo cabaret in un locale dove non andava nessuno, forse, ricordava Cavina "perché io cantavo e Lucio recitava". Tutti e tre frequentarono il Bar Margherita di via Saragozza che poi il regista immortalò in un film con le musiche di Dalla. E Cavina era anche un grande tifoso del Bologna come Dalla e Antonio Avati (fino alle retrocessioni che gli rovinarono la fede), tanto che negli anni Novanta scrisse regolarmente per Stadio e nel 2015 propose di vestire il Nettuno con la maglia rossoblu e spacciarlo per "il nuovo regista brasiliano o argentino del Bologna", per raccogliere fondi per il restauro della statua del Giambologna.

"Tra la vita reale e quella in un film – racconta ancora Gian Luca Farinelli – per lui non c’era differenza, non usciva mai dal suo personaggio e questo lo rendeva molto amaro, che trovava una sua completezza solo in scena". E prosegue: "Poi è vero che non sono tanti i registi che hanno avuto voglia di misurarsi con un personaggio così particolare, difficile e ostico ma attore di grande personalità. Perché magari non ci ricordiamo bene un film ma i suoi personaggi sì, perché sono di carne e ossa, scolpiti. Gianni Cavina è un attore che ha lasciato il segno per la sua unicità".

Migration

 

 

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro