REDAZIONE BOLOGNA

Il caso dell’alunno non vedente. Fa la campestre, l’amica lo guida

Tra i 93 ragazzi c’era anche il giovane disabile che per colpa del regolamento rischiava l’esclusione. La rabbia della madre: "Aveva una ’spalla’ professionista per correre, ma non ha potuto usufruirne".

Una foto d’archivio di una corsa campestre con tanti ragazzi e ragazze

Una foto d’archivio di una corsa campestre con tanti ragazzi e ragazze

Tra i 93 ragazzi che hanno partecipato alle fasi regionali della corsa campestre a San Lazzaro di Savena c’era anche B. K., alunno-atleta non vedente che frequenta la seconda media in un istituto di Formigine e che, per non essere escluso dalla competizione, ha dovuto ‘elemosinare’ l’aiuto di una compagna di classe, che si è offerta di fargli da guida.

Una vicenda paradossale, se si pensa che il ragazzo si allena tre volte a settimana con una guida professionista, ma non ha potuto avvalersi di questo sostegno durante la campestre a causa dell’applicazione inflessibile del regolamento regionale che, sugli studenti-atleti con disabilità, fa unicamente riferimento ad alunni-guida, escludendo qualsiasi altro affiancamento.

"Ci era stato comunicato che mio figlio avrebbe dovuto correre con una compagna – denuncia la madre – perché si supponeva la presenza di altri ragazzi non vedenti, ma alla fine B. era l’unico. Il solo effetto di questa imposizione è stato quello di metterlo in difficoltà: affrontare una campestre di 1.800 metri non è semplice, e la guida deve essere preparata, conoscere l’atleta e avere il fiato necessario per parlargli e fornirgli indicazioni durante la gara. Richieste complesse per chiunque, figuriamoci per ragazzi di dodici anni".

"Questo sistema – prosegue la madre – viene spacciato per inclusione, ma in realtà sfocia nell’assistenzialismo. Innanzitutto, si mettono a disagio i giovani atleti: quando B., ad esempio, ha dovuto chiedere aiuto a una compagna, ha provato imbarazzo e rabbia, perché da una richiesta del genere non si genera un rapporto alla pari, ma si dà per scontato che la persona con disabilità debba dipendere da qualcuno. Come se non bastasse, il compagno di classe si ritrova investito di una responsabilità fuori dalla portata della sua età. La sua compagna è stata gentilissima e lo ha aiutato ad allenarsi anche la scorsa settimana". Unico nella sua categoria, B. K. ha chiuso la gara con successo ma, al netto di tutto, questa vicenda lascia l’amaro in bocca.

"Nostro figlio – puntualizza la madre – è stato fortunato perché è ben inserito in classe. Il rischio concreto è che, irrigidendo il sistema in questo modo, si finisca per allontanare dallo sport ragazzi che già devono sostenere sacrifici".

Jacopo Gozzi