BENEDETTA CUCCI
Cronaca

Il cinema secondo Farhadi: "In Iran non giro pellicole"

Ieri al Modernissimo la masterclass del regista due volte premio Oscar: "Non voglio donne con l’hijab, il prossimo film che farò sarà in Francia".

Asghar Farhadi, regista, sceneggiatore e produttore. iraniano, ieri al Modernissimo

Asghar Farhadi, regista, sceneggiatore e produttore. iraniano, ieri al Modernissimo

È arrivato in città da qualche giorno per una conversazione al Cinema Ritrovato. Lunedì invece sarà al Mast e nel frattempo è cominciata la sua presenza come Master Tracher alla 12ª edizione dell’International Filmmaking Academy Masterclass, in cui, fino al 7 luglio, seguirà un gruppo di registi emergenti da tutto il mondo, supportandoli nella realizzazione di dieci cortometraggi. Ecco Asghar Farhadi, regista, sceneggiatore e produttore, maestro del cinema iraniano capace di raccontare le contraddittorie dinamiche sociali del suo Paese, due volte vincitore del Premio Oscar per Una separazione del 2011, che il primo luglio presenterà in piazza Maggiore e per Il cliente del 2016.

Quando ieri è entrato in sala al Modernissimo, lo ha accolto una platea urlante. Lui ha salutato e ha detto "spero si riesca a chiacchierare sul cinema". Del resto, con la guerra tra Israele e Iran, in tanti avranno cercato di chiedergli commenti, ma anche ieri l’argomento non è stato toccato. Farhadi vive in Iran e anche se viaggia molto, poi torna sempre a casa, ma nella sua terra non fa film: "Non voglio girare con attrici con l’hijab e lavoro fuori in attesa che le cose cambino, il prossimo film sarà in Francia". Poi inizia: "Tanti aspetti hanno influenzato il mio far cinema, la lingua, la cultura, perché si raccontano cose stratificate e la lingua persiana è davvero una lingua a strati, ma se bisogna parlare di una grande ispirazione per il cinema persiano, allora questa viene dal vostro cinema Neorealista. Essere De Sica, Fellini – quanto adoro Amarcord – Monicelli: questo hanno sempre sognato i registi in Iran, i registi italiani sono alla base della Nouvelle Vague iraniana. Subito dopo la rivoluzione abbiamo avuto una guerra di otto anni e si vedevano solo film italiani, come Ladri di biciclette e poi ho capito che i registi iraniani che hanno girato capolavori si sono ispirati all’Italia, forse perché quel cinema era umano, pieno di vita e luce, nonostante fosse in bianco e nero".

E ancora: "Nel mio cinema c’è realismo e ho sempre cercato di evitare il simbolismo, non voglio fare film d’essai per pochi, ma per il grande pubblico: lo strumento perfetto è il dramma. Il cinema è come quando la gente va ai funerali in Iran, non pensa a stupidaggini, pensa a cose serie. Il cinema è una cosa emotivamente seria in cui va creato uno spazio emozionale".