
La storia: un gruppo di. giapponesi amanti di Wagner si trova sul Reno sbagliato
È un film che inizia da un errore: un gruppo di appassionati wagneriani arriva dal Giappone sulle sponde del Reno… emiliano. Vestiti da vichinghi, convinti di trovarsi sul Reno tedesco celebrato da Wagner, scoprono solo dopo che non è quello giusto. Ed è da lì che comincia il racconto: "Ci sembrava il pretesto perfetto: un fiume forse dove si arriva solo per sbaglio, ma che, una volta scoperto, ti apre un mondo inatteso", spiega Lorenzo Pullega, regista bolognese al suo primo lungometraggio, L’oro del Reno, in anteprima stasera alle 21.15 al Cinema Rialto (già sold out), e poi nelle sale dal 3 luglio. Saranno presenti il regista, parte del cast – tra cui Eva Robin’s, Giorgio Comaschi, Lorenzo Ansaloni e Flavia Bakiu – e i produttori Marco Manetti per Mompracem (produzione di Piergiorgio Bellocchio e i Manetti Bros), Federico Montevecchi e Roberto Romagnoli per Rheingold Film. Tra i tanti attori nel cast è presente anche Rebecca Antonaci. L’opera, presentata in concorso all’International Film Festival di Rotterdam, ha vinto il premio per la miglior regia "per il cinema italiano" al Bif&st di Bari ed è stata scelta come film di apertura del Bellaria Film Festival, con il sostegno della Emilia-Romagna Film Commission.
Lorenzo Pullega, lei ha vissuto vicino al Reno: è questo che ha ispirato il suo viaggio cinematografico?
"Sì, il Reno è sempre stato parte della mia vita. L’idea era proprio reinventare un luogo così familiare, scoprendo dentro di esso mondi nuovi, storie vere e immaginate che si intrecciano lungo il fiume".
Ci spiega il titolo, ‘L’oro del Reno’?
"É un riferimento al dramma musicale di Wagner ‘L’oro del Reno’, che si dice sia esistito anche nel nostro fiume, ma nessuno l’ha mai trovato. Il vero oro del mio film però sono le storie, le persone, le voci".
Dunque c’è anche la musica: che ruolo ha?
"Fondamentale. Le musiche di Marco Pedrazzi legano la narrazione: abbiamo registrato con l’Orchestra del Teatro Comunale e il film si chiude con Sempre di Gabriella Ferri, che raccoglie l’anima del racconto".
Si può dire che il vero protagonista del film sia il territorio?
"Proprio così. Abbiamo attraversato quasi tutta l’Emilia-Romagna seguendo il corso del fiume, affrontando anche la sua imprevedibilità: dovevamo iniziare le riprese durante la prima alluvione del 2023, ma siamo partiti mesi dopo. Lungo il viaggio abbiamo incontrato persone colpite dall’alluvione, e nel film c’è una scena simbolica: una sposa che cerca il marito dopo un’esondazione. Parliamo di un’alluvione del passato, ma il rimando agli eventi recenti è inevitabile".
Il suo è un ‘metadocumentario’?
"Sì, un regista è incaricato da un bizzarro circolo locale di realizzare un documentario sul Reno. Non lo si vede mai, ma è come se il film fosse girato attraverso i suoi occhi: a dargli voce è Neri Marcorè".
C’è anche tanto della ‘sua’ Bologna…
"Sì, ma non quella più classica, delle Due Torri: è una Bologna più mia, segreta, sotterranea, fatta di luoghi nascosti dove può accadere di tutto".