Il grido d’allarme degli agricoltori "Colpite più di duemila imprese Danni enormi, a rischio la filiera"

Gli addetti ai lavori: "Le prime stime delle perdite parlano di 12 milioni, il settore è in ginocchio"

Il grido d’allarme degli agricoltori  "Colpite  più di duemila imprese  Danni enormi, a rischio la filiera"

Il grido d’allarme degli agricoltori "Colpite più di duemila imprese Danni enormi, a rischio la filiera"

di Luca

Orsi

L’alluvione ha lasciato ferite, più o meno profonde, su circa 2.200 aziende agricole del Bolognese. Tra campagne allagate e frane in montagna. Nella sola nostra provincia "fra i cinque e i 6mila ettari di terreno sono rimasti sott’acqua per più di tre giorni", calcola Guglielmo Garagnani, presidente di Confagricoltura Bologna.

"E nelle zone di Budrio, Medicina e Molinella – afferma Marco Bergami, vicepresidente Cia Emilia Centro – ci sono allagamenti non ancora risolti".

Con il passare dei giorni, man mano che l’acqua defluisce,"ci si comincia a rendere conto dei gravissimi danni causati dall’alluvione alle nostre campagne", commenta Albertino Zinanni, condirettore Coldiretti Bologna. Quasi tutti i raccolti sono compromessi.

Difficile salvare qualcosa. Fra perdita della produzione e costi di ripristino dei terreni devastati dall’acqua e dal fango, si sta facendo la conta dei danni. "Anche nei casi in cui l’acqua è defluita in fretta – aggiunge Bergami –, molte colture si sono ‘bloccate"’.

"I numeri, purtroppo, saranno enormi", azzarda Garagnani. Ripristinare un terreno e riportarlo a regime può costare, parlando soltanto di seminativo (cereali, ortaggi) da 2.500 a 10mila euro per ettaro. "Ma nel caso delle barbabietole questa cifra si raddoppia, e si quadruplica per le cipolle. Per i frutteti, poi, si deve moltiplicare per sei o sette, impianti compresi". Fatti i conti per difetto, si può quindi parlare "di danni a partire almeno da 12 milioni di euro".

Nelle zone di collina e di montagna, la criticità è rappresentata dalle numerose frane che hanno spaccato i campi; e dalle strade interrotte. "Ci sono aziende agricole con le stalle ancora isolate – spiega Zinanni –, difficili da raggiungere senza rischi".

Un altro problema cui gli agricoltori dovranno fare fronte è il ripristino della fertilità dei terreni. In molte zone, sui campi si è depositato uno strato di fanghiglia di 20-30 centimetri, che ha privato di ossigeno il terreno, asfissiandolo. "Bisognerà capire che cos’è questo fango, e vedere se potrà essere mescolato al terreno", commenta Garagnani. Se, invece, dovesse essere portato via, "ci aspetterebbe un impegno che definirei mostruoso".

Dove le piante andranno ripiantate, per ritornare alla produzione normale serviranno comunque anni: da tre a sei, a seconda delle colture. "Per l’agricoltore questo significa anni di mancato reddito, oltre che il rischio di perdita del mercato", avverte Zinnanni.

E sottolinea un pericoloso effetto domino. "Il danno alle colture si ripercuote lungo tutta la filiera, a tutto l’indotto legato all’attività agricola: cooperative, mangimi, sementi, concimi, fitofarmaci...". Si stima che il danno indotto riguardi circa tremila aziende.

Tutti sottolineano quindi l’importanza, a bocce ferme, di una seria pianificazione futura. "Sarà necessaria – spiega Bergami – una riflessione sui fiumi regionali". Perché "non possiamo più permetterci che l’acqua della montagna si sversi in pianura".

Servirà dunque un’attenzione particolare agli argini. Ma, soprattutto, "si dovrà pensare a casse di espansione per calmierare le ondate di piena e le bombe d’acqua figlie del cambiamento climatico. La nostra rete di canali non può reggere certe portate d’acqua".

Come "esempio virtuoso", Bergami cita il fiume Samoggia. "Venticinque anni fa si fece una cassa di espansione, che con l’ultima alluvione si è riempita. È proprio grazie a quella cassa di espansione se San Giovanni in Persiceto non si è allagata".

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