"Il mio corpo libero si nutre di tre Grazie"

Silvia Gribaudi rivolta gli stereotipi della danza con ’Graces’ stasera e domani. sul palco di ’Gender Bender’. "Parto dal Canova per riflettere sulla bellezza"

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di Benedetta Cucci

Stereotipi e ruoli decostruiti, le Grazie del Canova interpretate da tre uomini e accanto a loro Silvia Gribaudi, drammturga, regista, coreografa, che da anni ha proposto un cortocircuito dei cliché legati alla fisicità nella danza, sostenuto da leggerezza, ironia e libertà, nutrendo Graces", lo spettacolo in scena oggi e domani alle 21.30 al Cavaticcio per Gender Bender tutto all’aperto, di uno sguardo ribaltato che scopre la grazia delle imperfezioni.

Gribaudi, come, lo spettacolo, è stato condizionato dalle norme sul distanziamento fisico?

"Adesso siamo in una fase diversa della situazione e dipende molto dalla compagnia, dalla direzione artistica, dalle città e dalle regioni, lo scopriremo domani sera. Anche se poi, non è tanto nella forma che si cambia, quanto nel modo di stare a teatro".

Qual è il cuore di ’Graces’?

"L’obiettivo delle tre grazie è portare all’umanità prosperità, splendore e gioia. E quindi, in maniera ironica, ragioniamo su cosa siano queste prosperità, splendore e gioia. Cos’è il concetto di bellezza, come possiamo, a prescindere dal momento storico, riuscire a trovare questa armonia in situazioni anche così difficili? Lo spettacolo non aveva contatti prima e non si è tradito nella forma estetica".

Il rapporto col pubblico, invece?

" Certamente cambia, ma abbiamo avuto esperienze anche in città come Bergamo, fortemente colpite dalla pandemia e abbiamo riscontrato una grande voglia di ridere e stare nella relazione coi performer".

Quando ha capito che poteva esserci una via alternativa per la fisicità, nella danza?

"La scuola straniera dei coreografi europei, da almeno 50 anni, ha dimostrato che era possibile portare in scena performer di diverse forme e misure estetiche. Personalmente, per me, che ho 46 anni, è successo quando ho dovuto iniziare a convivere col cambiamento del mio corpo, a 28 anni. Prima danzavo in un certo modo, anche all’interno di contesti più neoclassici come la Fenice di Venezia, poi mi sono chiesta come potessi riadattare quello che volevo dire, al corpo che stavo abitando. Ho usato quello che avevo per dire quel che volevo, la bellezza della danza sta in questo. Che siano parti grasse, magre o muscolose, l’obiettivo è quello di arrivare a esprimere quello che ti sta a cuore, e a me questo sta a cuore, vedere in scena tante forme fisiche, tanti modi diversi di del bello, del sorprendente, del virtuoso. Mi diverte molto lavorare con questo tipo di gioco dei corpi".

È nata prima Silvia Gribaudi o Celeste Barber?

"Capisco il paragone. Come danzatrice ho sempre cercato di scoprire le possibilità del corpo. Sono influenzata da tutto quello che mi circonda e nella poetica che porto avanti, l’incontro soprattutto con il cabaret, con l’ironico nell’esperienza personale, è arrivato proprio in un ambiente così lontano dalla danza, dove mi ha sorpreso come in poco tempo devi far ridere e la magia che alcuni riuscivano a ottenere col pubblico. Ho portato questo nella danza con l’obiettivo di rompere dei muri".

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