Il Sant’Orsola respira, calano i posti Covid

Fino a maggio riconvertiti 136 letti al padiglione 2. Borghi (Medicina interna): "Il nostro percorso come al Giro d’Italia, ora inizia la discesa"

l professor Claudio Borghi

l professor Claudio Borghi

di Donatella Barbetta

Grandi manovre al Sant’Orsola. Dai prossimi giorni fino alla metà di maggio saranno riconvertiti 136 letti di area medica al padiglione 2. Insomma, i posti Covid iniziano a ridursi: i primi 50 sono stati già chiusi, altri 36 in settimana e i successivi 50 tra una decina di giorni. È l’avvio del ritorno, graduale, verso la normalità anche se i letti delle degenze ordinarie Covid sono ancora 226 e 94 in area critica.

La direzione del Policlinico, infatti, visto l’andamento epidemiologico, con il calo da qualche settimana degli accessi al Pronto soccorso e dei ricoveri, ha sviluppato un piano di riconversione dei reparti per riavviare le attività ordinarie e programmate sia di tipo medico sia chirurgico. Scatterà, quindi, anche una progressiva riduzione dei posti letto di terapia intensiva, per consentire la riapertura di 2 sale operatorie al padiglione 5, compresa l’attività di chirurgia robotica, e una sala operatoria al padiglione 1, già da questa settimana. Inoltre, saranno riaperti 6 posti letto di terapia intensiva coronarica e una sala operatoria al padiglione 23. Contestualmente, si provvederà alla riapertura di un’ala di degenza chirurgica al padiglione 1 e a una riconversione di letti dall’ambito medico a quello chirurgico al padiglione 5.

Tira un sospiro di sollievo il professor Claudio Borghi, direttore di una Medicina interna: "Il nostro percorso è stato come quello di una tappa di montagna al Giro d’Italia, siamo saliti in vetta e ora intravediamo l’inizio della discesa. Oltre alla mia unità operativa Covid al padiglione 25, nella terza ondata ho accolto pazienti contagiati anche al padiglione 2. E aver reclutato medici in formazione del 4° e 5° anno delle specialità mediche, ha permesso di aumentare turni di guardia e di servizio, senza aver bisogno di richiamare i colleghi che erano andati in pensione, come era accaduto in precedenza. Gli specializzandi sono stati un punto di forza". L’internista osserva anche che "i reparti di medicina interna, in collaborazione con le malattie infettive, sono stati una prima linea e anche l’ossatura dell’assistenza Covid, perché la maggior parte dei pazienti transitava da noi e più volte al giorno facevamo un triage con i rianimatori per valutare chi doveva essere trasferito in terapia intensiva. Una strategia di gestione importante, perché i segni di cambiamento sfavorevole della malattia compaiono molto rapidamente e bisogna essere veloci nell’interpretarli". Cristina Morelli, direttore di una medicina interna per il trattamento delle gravi insufficienze d’organo, torna indietro. "La terza ondata è stata l’occasione per instaurare una grandissima cooperazione tra i colleghi. Mi occupo di malattie del fegato – sottolinea – e se arrivava un paziente con epatite acuta e non avevo posto, veniva ricoveravo in una chirurgia e poi seguito insieme ai colleghi. Questo è un tratto distintivo del nostro ospedale e del nostro modo di lavorare. Così riusciamo anche ad affrontare patologie di cui altri non si occupano".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro