
di Benedetta Cucci
Armando Punzo è l’ospite del terzo incontro del ciclo "riparAzioni: dialoghi d’arte, cultura e società" all’Accademia di Belle Arti, oggi alle 17. Il fondatore della storica Compagnia della Fortezza di Volterra, che ha trasformato uno dei peggiori istituti penitenziari italiani in un raffinato laboratorio di ricerca teatrale, racconterà il suo punto di vista sugli strappi del sociale, attraverso la sua esperienza.
Punzo, si parla di azioni riparatrici del sociale e non si può non pensare al suo lavoro. Cosa racconterà?
"Cercherò di spiegare che cosa significhi, per noi, ‘riparazioni’. Quando si parla della compagnia Fortezza e di teatro nel carcere, si associa anche questo termine: ma voglio far capire che ’riparazioni’ non è strettamente legato alla rieducazione e all’uso sociale del teatro".
Lei non è andato in carcere per salvare i detenuti.
"Sono andato in carcere per il teatro, per l’arte, perché ero molto affascinato e colpito da questo luogo del reale che rappresenta la prigione nel senso di limitazione della libertà dell’essere umano nella realtà quotidiana. Mi interessava a livello di metafora: quanto tutti noi siamo – o potremmo essere – prigionieri in questo mondo e cosa c’è bisogno di fare per arrivare alla possibile libertà, semmai possibile".
La sua ricerca personale ha avuto però degli effetti sugli altri.
"Indirettamente so benissimo che questa attività ha trasformato completamente il carcere di Volterra, che era uno dei peggiori d’Italia e che, con l’arrivo del teatro, non è più riuscito a essere quello che era fino al giorno prima. Ha avuto un cambiamento radicale grazie all’ingresso del teatro 35 anni fa e ha fatto da apripista ad altre attività importanti. Poi, è chiaro, non bisogna per forza essere detenuti perché uno possa accrescere la sua esperienza di vita attraverso il teatro. Il carcere, per me, è stato un buon mezzo per osservare la realtà e lo è ancora oggi".
Quindi la riparazione per lei dove sta?
"È il fatto di mettere in crisi i cliché, ogni giorno. Del carcere, cosa si pensa normalmente? Poi si entra a Volterra e si scopre che sì, è un carcere, però dentro si incontrano persone che fanno tante attività e si viene a contatto con la Compagnia Fortezza, un gruppo di teatro premiato, finanziato come ogni altro in Europa. Il punto di vista sul carcere un po’ si sgretola e, quindi, questa è una ’riparazione’: preconcetti e chiusure vengono sgretolate, e non è poco perché, quando ci facciamo un’idea sulle cose, poi è difficile scalfirla. Quando le persone ci dicono ‘ah, ma io pensavo…’, ecco che è avvenuto un cambiamento concreto. Un artista non deve dire quello che già tutti conoscono ma deve cercare di far aprire gli occhi".
Com’è stato l’incontro con l’architetto Mario Cucinella che col suo studio ha vinto il bando per realizzare il Teatro Stabile dentro al carcere?
"Penso che siamo stati fortunati. Cucinella non è un architetto che, come studio, avesse bisogno di fare questo progetto, lui ne fa di molto più grandi. E, invece, dal punto di vista simbolico lui pensa che sia un progetto davvero importante. Ci tengo a dire che il teatro è importante non perché io voglio una casa, un tetto sulla testa: la struttura servirà per fare maggiore formazione professionale ai mestieri del teatro, per radicare ancora di più l’esperienza all’interno del carcere e convincere che si può non solo fare il cameriere o il muratore, se uno ha un lavoro in carcere, ma può diventare mestiere anche l’attore, il macchinista, il fonico. Come è stato con Aniello Arena, storica colonna della Compagnia Fortezza e attore con Matteo Garrone, che ha finito la sua pena e continua a fare film, cinema, teatro".