BENEDETTA CUCCI
Cronaca

"In Dylan Dog le mie paure" I sogni di Barbara Baraldi

Prima sceneggiatrice e oggi curatrice della collana per l’editore Bonelli. Oggi sarà premiata con la Targa Volponi. "Da piccola ero ’quella strana’".

"In Dylan Dog le mie paure"  I sogni di Barbara Baraldi

"In Dylan Dog le mie paure" I sogni di Barbara Baraldi

di Benedetta Cucci

Una ragazza timida della provincia modenese che grazie alla lettura e anche a Dylan Dog ha rimodellato la sua vita. Diventando scrittrice, poi sceneggiatrice per la Bonelli e infine, la scorsa primavera, curatrice dell’Indagatore dell’incubo: un sogno che diviene realtà. Barbara Baraldi, classe 1975, da Mirandola alle tavole cult di Dylan Dog, grazie al cuore e alla perseveranza, viene premiata dalla Casa dei Pensieri con la Targa Volponi.

Barbara Baraldi, arrivare a Dylan Dog, come sceneggiatrice e oggi curatrice, era un sogno nel cassetto?

"Sì, leggevo Dylan da ragazzina, era il mio fumetto preferito e poi, quando già scrivevo romanzi e arrivavano le prime soddisfazioni, uno dei miei sogni era ancora quello di arrivare a scrivere le storie di Dylan Dog".

Lei è nata a Mirandola, come arrivava una ragazzina della provincia, negli anni Novanta, a contatto con un fumetto così?

"Io e mio fratello andavamo all’edicola e coi soldi della paghetta compravamo libri e fumetti. Quando ho scoperto Dylan, all’inizio degli anni Novanta, ci ho trovato dentro tutto il mio immaginario e non ci potevo credere".

Che ragazzina era?

"Mi sono sempre sentita diversa, ero quella considerata strana. Leggevo tantissimo, i miei amici erano i libri, abitavo nell’ultima casa a sinistra del paese con nove gatti neri, figli di una randagia, due cani, e soffrivo di timidezza cronica. Quando ho trovato Dylan Dog, oltre all’immaginario horror, ho trovato anche riferimenti musicali che sentivo miei, come in Orrore Nero con ’666 the Number of the Beast’ degli Iron Maiden… Ho sempre ascoltato la musica alternativa, dal dark al punk al metal e fino alla new wave".

Poteva specchiarsi in Dylan?

"Sì, mi piaceva anche che fosse un fumetto psicoanalitico e mi aiutava a guardarmi dentro, affrontando l’ansia esistenziale. Io mi sentivo sbagliata, in Dylan non c’era nulla di sbagliato e i mostri erano creature che venivano spesso incolpate e giudicate per l’aspetto. Tiziano Sclavi parlava già di diversità in tempi non sospetti".

Com’è arrivata a scrivere la sua prima storia per Bonelli?

"Ho sempre raccontato storie di mistero, anche ai miei fratellini per tenerli buoni. A scuola vincevo sempre, coi miei temi, i librettini di risparmio dell’Avis con 100.000 lire. Poi ho esordito nel 2006 con il mio primo romanzo e successivamente ho iniziato a mandare i miei soggetti a Dylan Dog, ma venivano sempre bocciati".

Perché?

"Perché cercavo solo di sorprenderli tentando di creare il mostro che non era ancora stato fatto. Insomma usavo troppo la razionalità e invece serviva più cuore. Per scrivere Dylan devi avere il coraggio di portare qualcosa di tuo, una paura, una debolezza. E nella mia prima storia del 2012, ’Il bottone di madreperla’ ho in effetti portato un mio amuleto segreto, un bottone di madreperla della mia collezione: perché il bottone significa tenere insieme, cucirli per gli altri è segno d’amore. I bottoni sono schegge di luna e io ne tenevo una in tasca che toccavo quando ero in ansia".