Infarto, la scoperta dell'Unibo: ecco l'ormone che può riparare il cuore

Il gene-chiave potrebbe aiutare il muscolo cardiaco a rigenerarsi dopo il trauma

Il gruppo di ricerca di Gabriele D'Uva

Il gruppo di ricerca di Gabriele D'Uva

Bologna, 23 giugno 2022 - Riparare letteralmente il cuore dopo il trauma di un infarto. Non si parla di ingegneria chirurgica, ma di un 'gene-chiave', scoperto grazie a uno studio internazionale guidato dall’Università di Bologna. Lo studio – pubblicato sulla rivista Nature Cardiovascular Research – mostra che l’incapacità del muscolo cardiaco di rigenerarsi dopo un infarto sarebbe, almeno in parte, dovuta all’azione di una classe di ormoni steroidei, i glucocorticoidi, che dopo la nascita spingerebbero le cellule muscolari del cuore a maturare, bloccandone al tempo stesso la proliferazione.

Ma cosa avviene in seguito a un infarto miocardico? Le cellule del cuore muoiono e vengono sostituite da un tessuto cicatriziale che è incapace di contrarsi. Se il danno è esteso, questo porta a sviluppare un’insufficienza cardiaca: una condizione per cui il cuore non riesce a pompare sangue in quantità sufficiente a soddisfare le esigenze dell'organismo, che può portare a diversi esiti debilitanti, fino alla morte cardiaca improvvisa. Proprio per questo, le malattie cardiache sono tra le principali cause di decesso in tutto il mondo. 

“Al contrario di quanto accade nella maggior parte dei tessuti del nostro corpo, che si rinnovano per tutta la vita, il rinnovamento del tessuto cardiaco in età adulta risulta estremamente basso, quasi inesistente - spiega Gabriele D’Uva, ricercatore al Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio -. Ciò è conseguenza sia del ridottissimo tasso di proliferazione delle cellule muscolari cardiache che dell’assenza di una significativa popolazione di ‘cellule staminali’ in questo tessuto: i danni severi al cuore, indotti ad esempio da infarto miocardico, sono quindi di fatto permanenti”.

Gli studiosi si sono concentrati sui glucocorticoidi: una classe di ormoni che svolge importanti ruoli nello sviluppo, metabolismo e mantenimento dell'omeostasi e nella gestione di situazioni di stress. Questo tipo di ormone è noto per indurre la maturazione dei polmoni. I ricercatori, però, si sono accorti che esponendo cellule muscolari cardiache neonatali a questi ormoni, le cellule perdevano la loro capacità proliferativa. Sono stati quindi realizzate analisi del tessuto cardiaco durante la prima settimana di vita postnatale, dalle quali è emerso un aumento della quantità del recettore per i glucocorticoidi (GR): un elemento che suggerisce come l’attività dei glucocorticoidi vada aumentando nell’immediato periodo postnatale.

Da qui è nata l'ipotesi che i glucocorticoidi possano essere responsabili della maturazione delle cellule muscolari cardiache, a discapito della loro capacità replicativa e rigenerativa. Un'idea che è stata ora dimostrata sul modello animale, utilizzando sofisticate tecniche di biologia molecolare. Attraverso la delezione del recettore GR è infatti emerso un ridotto differenziamento delle cellule muscolari cardiache, ossia la loro permanenza in uno stato immaturo, che ha portato ad un aumento della loro divisione in nuove cellule cardiache. I ricercatori sono inoltre riusciti a chiarire il meccanismo molecolare responsabile del blocco replicativo da parte dei glucocorticoidi, dovuto ad una modulazione del metabolismo energetico cellulare.

"La delezione del recettore per i glucocorticoidi si è dimostrata capace di aumentare la capacità delle cellule del muscolo cardiaco di replicarsi a seguito di infarto miocardico, promuovendo nel giro di poche settimane un processo di rigenerazione del cuore - conferma D'Uva -. Risultati simili, inoltre, sono stati ottenuti attraverso la somministrazione di un farmaco inibitore del recettore GR già approvato per uso clinico sull’uomo".

Il gruppo di ricerca punta ora a testare potenziali effetti sinergici con altri stimoli pro-rigenerativi, in modo da proporre strategie più efficaci per la rigenerazione del cuore: un risultato che potrebbe aiutare milioni di pazienti in tutto il mondo.

 

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