La Biennale è donna e parla bolognese

Alla 59esima edizione dell’Esposizione d’Arte di Venezia saranno protagoniste le opere di Elisa Giardina Papa e Giulia Cenci

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di Benedetta Cucci

Se ne parla già come della Biennale al femminile per la rilevante presenza di artiste. Ma la 59esima edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, che comincia il 23 aprile, è un déjà-vu, se si pensa che anche per quella del 2019, si pronunciarono le stesse parole. "Sarà la Biennale delle donne?" si chiedevano tutti prima dell’inizio e dopo: "È stata la biennale delle donne". Il dato nuovo è che quest’anno anche il direttore è donna: Cecilia Alemani. Anzi, è la prima donna a dirigere la kermesse. La sua assistente è la bolognese Marta Papini, formando un duo già collaudato in varie occasioni. Il dato però più importante è che la Biennale torna in presenza. Si intitolerà ’Il latte dei sogni’ e vedrà anche la partecipazione di due artiste legate alla nostra città.

Elisa Giardina Papa, classe 1979, ci è cresciuta perché ci è nata nel nostro territorio, essendo di Medicina, e Giulia Cenci, dell’88, si è formata all’Accademia di Belle Arti. Entrambe l’hanno lasciata per seguire il proprio lavoro artistico e così la prima vive ormai da undici anni a New York, con soggiorni in Sicilia, e la seconda ha sceto l’Olanda come terra promessa. Elisa Giardina Papa, videoartista, è stata invitata alla Biennale con l’installazione creata appositamente ‘U Scantu’: A Disorderly Tale, che reinventa il mito siciliano delle donne di fora ("donne di fuori e fuori di sé") e che si può vedere in due spazi differenti.

"Si tratta di due video-installazioni con una parte di sculture di ceramica – racconta – la principale è alle Corderie e l’altra è a Forte Marghera". E prosegue: "E’ la prima volta che lavoro con la ceramica e mi sembrava bello farlo per questo lavoro perché riesploro l’archivio delle ‘donne di fora’, figure della mitologia siciliana che sono umane, ma anche non umane. Sono donne, ma anche uomini, appaiono nelle storie come donne bellissime però poi hanno i piedi di capra e di papera o spunta loro la coda. Mi raccontava di loro mia nonna, perché sono nata a Bologna, ma ho la famiglia siciliana e riproponendo il mito metto in discussione l’ordine dell’umano e le categorie del genere". L’installazione video immagina le donne di fora come una banda di adolescenti "sintonizzatori" che attraversano l’utopica città di Gibellina Nuova su biciclette personalizzate con sistemi audio dirompenti.

Giulia Cenci è tra le nuove promesse dell’arte italiana, vive tra Amsterdam e Cortona e all’Accademia, nel triennio dove ha studiato pittura, ha avuto maestri come Giovanna Caimmi e Roberto Daolio, con cui ha fatto la tesi. "A Bologna – riflette – è nata soprattutto la dedizione, e un’attitudine al contemporaneo". A Venezia espone l’installazione ’Dead dance’ composta da 12 lavori nel corridoio delle Corderie, in esterno e in uscita dall’Arsenale. "Del mio approccio concettuale – spiega – fa parte anche l’idea di riappropriarsi del proprio corpo, dei propri mezzi come esseri naturali. Ad un certo punto ho creduto che ci fosse una sorta di distanza colossale tra l’essere umano come essere anche selvatico e la sua incapacità di fare da sé qualsiasi cosa".

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