La Bolognina chiede una nuova svolta "Ora bisogna cambiare il partito"

Viaggio tra i cittadini e gli attivisti dello storico circolo in cui Occhetto annunciò la sua rivoluzione. Le voci dopo il voto: "Un’identità più definita potrebbe essere la molla giusta per ripartire"

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di Giorgia De Cupertinis

C’era una volta il partito democratico. Nato come la fenice dalle ceneri del comunismo italiano, figlio delle storica svolta della Bolognina, imboccata da Achille Occhetto il 12 novembre 1989 nella sala comunale di via Tibaldi 17. Ora, dopo trentatré anni, in quella sede c’è un negozio di parrucchieri, con ampie vetrate e prezzi in bella vista. Il circolo della Bolognina si è spostato di poche decine di metri, in piazza dell’Unità.

"Il Pd è un partito vivo e vegeto. Anzi, vivissimo – dice Mario Oliva, il segretario del circolo – Noi siamo pronti ancora più di prima a rimboccarci le maniche e a ripartire. Eravamo qui quando il M5s prendeva il 32%, quando la Lega superava il 30% e siamo ancora qui. Siamo il bastione della sinistra. Se lo mettano in testa tutti, il Pd è vivo".

Perché nonostante una campagna evidentemente sotto tono "non possiamo definirlo un tracollo – spiega il dirigente bolognese –. C’è chi parla di vittoria e ha preso il 17%, chi con l’8% reclama posti di governo. La situazione per noi non è drammatica. Certo, ora parte una riflessione, una discussione serena, si arriverà a Congresso e si andrà avanti: abbiamo tutto il tempo per fare una discussione sul nostro futuro. Nomi e simboli stanno tutti un passo indietro".

Tra i cittadini che gravitano intorno alla culla del partito democratico, però, emergono le preoccupazioni di chi si interroga sul ‘domani’ della sinistra.

"È come se la battaglia avesse fatto un passo indietro: molti clienti, nel corso della campagna elettorale, hanno sottolineato il loro dissenso – precisa Elisabetta Rimondi, dietro al bancone del bar in Bolognina – tanto che, nonostante l’appartenenza politica e un forte legame storico con il partito, non tutti erano decisi ad andare a votare. A prevalere era ed è un forte senso di rassegnazione, durato anche dopo il voto". E se dalle stesse ceneri del voto si prova ora a ripartire, "un’identità più definita potrebbe mostrarsi quale molla giusta per rimettere in piedi la baracca e ritrovare dei consensi – spiega Franco Vitali, volto storico del quartiere –. Dopo le sconfitte, anche in politica, bisogna cambiare, rileggere, rifarsi il look". Perché "nonostante a Bologna non sia andata male, sono comunque troppe le macerie da raccogliere ora" sferza un altro cittadino, Mauro Montanari. Come può quindi la fenice riprendere il volo? "Prima ancora delle discussioni sul toto segretario, bisogna fare un esame serio e un pre congresso di approfondimento di tutte le tematiche aperte, senza avere fretta di fare un nome – precisa il consigliere comunale del Partito democratico, Claudio Mazzanti (foto in alto) –. Serve un esame serio su quello che vogliamo fare, su quale linea politica vogliamo darci partendo dal nostro programma. Un’analisi, profonda, di quello che è successo".

Perché se per gli storici militanti "il futuro del Pd è una questione fondamentale e un’occasione per riflettere sull’identità del nostro partito, per riallacciare a livello nazionale un rapporto con le fasce di popolazione che abbiamo il dovere di rappresentare – premette Antonella Di Pietro, consigliera Pd –, penso vada definita una linea chiara. E per farlo bisogna a partire da una profonda riflessione: non è il momento di dissolvere il partito, ma di lavorare con umiltà e ascolto per costruire una visione e un’identità che possa innanzitutto ricreare fiducia nella società e costruire una vera opposizione al governo". Mentre sul derby Bonaccini - Schlein, Di Pietro sottolinea la priorità di riflettere "prima sull’identità e il futuro del partito e poi sui nomi". "Bisogna specificare gli obiettivi – aggiunge Mumolo, consigliere regionale Pd – discutere su chi vogliamo essere. E cosa vogliamo rappresentare".

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