La burattinaia Cennamo: "Un mondo al femminile"

Bolognese doc, lavora con i pupazzi dal 2002 sulle orme di Demetrio Presini "È una professione storicamente per uomini, ma c’è chi ha saputo reinventarsi"

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di Benedetta Cucci

"Sebben che siamo donne siamo burattinaie. Indagine sul ruolo professionale della donna nel teatro di figura". Con queste parole Riccardo Pazzaglia introduce, nel cortile di Palazzo d’Accursio, una tematica che gli sta a cuore nell’ambito della rassegna Burattini a Bologna. Questa sera, alle 18,30, va in scena il dialogo tra Francesca Cecconi, ricercatrice, e Brina Babini, scultrice, che lavora a stretto contatto con tante artiste burattinaie, tra cui Margherita Cennamo, bolognese, che racconta così tutto il suo mondo.

Margherita Cennamo e la passione per i burattini: come nasce?

"Sono burattinaia dal 2002 e sono andata a imparare a Cervia, alla Cooperativa ‘Arrivano dal mare’, che dai primi anni settanta ai primi del Duemila, teneva i corsi. Questo è un mestiere che impari a bottega o che apprendi perché fai parte di una famiglia d’arte, poi c’è chi come me fa formazione a scuola. Sono sempre stata appassionata di teatro di figura e, come molti bambini della mia generazione, andavo a vedere i burattini di Demetrio Presini in Salaborsa, dove c’era il suo teatro stabile. Però non ho mai pensato ‘da grande farò la burattinaia’, perché associavo questo mestiere al mondo maschile. Le donne, in passato, erano sempre assistenti di baracca, come Sara Sarti per Presini o Pina Cazzaniga per Benedetto Ravasio di Bergamo".

Poi cos’è successo?

"Quando acquisiscono maggiore libertà, ecco che appaiono le prima capocomico. Personalmente ho una storia particolare, perché mi sono approcciata al teatro di figura che ha diversi tipi di linguaggio e alla sua base non c’è l’essere umano, ma la figura. Sono quindi partita dal burattino e questo mi ha portata a dover pensare a una nuova drammaturgia, che è ciò che fanno le burattinaie contemporanee. Raramente fanno spettacoli di tradizione".

Qual è il suo tipo di drammaturgia?

"Parte dalle fiabe popolari ed è un percorso che mi accomuna a molte altre colleghe. Fiabe della tradizione popolare, in particolare italiana, il che porta subito a pensare a quelle riscritte da Italo Calvino. Non Cappuccetto Rosso o Cenerentola, per intenderci".

Lei crea personalmente i suoi burattini?

"No, li fa Brina Babini! È favolosa. Anche il ruolo dell’artigiana per il teatro al femminile è un po’ atipico, perché un tempo era il burattinaio stesso che si costruiva i burattini oppure li prendeva nelle botteghe artigiane di uomini. Mi piace usare l’esempio di Spielberg che deve fare E.T. e si rivolge a Rambaldi, decidendo insieme come sarà la figura. Il percorso è parallelo, Brina è le mie mani".

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