La decisione controcorrente "Ho scelto il Pronto soccorso Ma capisco chi vuole andare via"

Luca Muratori, 30 anni, specializzando di Medicina interna, spera di entrare al Sant’Orsola "Lavoro dinamico e formativo, serve fiuto clinico. Ora ho un contratto a tempo determinato".

La decisione controcorrente  "Ho scelto il Pronto soccorso  Ma capisco chi vuole andare via"

La decisione controcorrente "Ho scelto il Pronto soccorso Ma capisco chi vuole andare via"

di Donatella Barbetta

C’è chi va controcorrente. È il caso di Luca Muratori, 30 anni, laureato in Medicina e chirurgia all’Alma Mater, specializzando al quinto anno in Medicina interna. Il dottore ha deciso di andare a lavorare nel Pronto soccorso del Sant’Orsola, da cui in tanti scappano.

Come mai questa scelta?

"La trovo un’attività molto dinamica, stimolante e formativa, con un numero di scelte cliniche elevate da prendere velocemente. E pur essendo una medicina basata su esami di laboratorio e test diagnostici, c’è sempre bisogno di fiuto clinico".

In quali occasioni?

"Con i pazienti anziani, per esempio, colpiti da più patologie: bisogna decidere rapidamente se passare al ricovero o ricorrere a una gestione a domicilio".

Quindi ha già fatto esperienze nelle strutture di emergenza urgenza?

"Come specializzando sì, durante la formazione della Scuola di Medicina interna sono previsti 6 mesi di formazione in Pronto Soccorso: frequentando ho capito che mi sarebbe piaciuto lavorare in questo contesto, così appena si è prospettata la possibilità di avere un contratto a tempo determinato, l’ho colta. Al momento sono presente nel Pronto Soccorso del Sant’Orsola per 32 ore a settimana invece di 38, perché sono ancora in formazione. Ma in autunno terminerò la specializzazione e spero che il mio contratto diventi a tempo indeterminato avendo sostenuto il concorso per l’emergenza urgenza a giugno dello scorso anno ed essendo in graduatoria".

Si sente una mosca bianca o anche altri giovani medici la pensano come lei?

"Il sentimento comune, condiviso da molti altri colleghi, è che il Pronto Soccorso sia un posto molto formativo, ma le numerose difficoltà strutturali scoraggiano tanti dal lavorarci".

Non teme di affrontare i disagi dei turni, con notturni e festivi spesso in ospedale?

"Al momento no, anche se sono consapevole che in un mese lavorerò almeno la metà dei fine settimana e quattro o cinque notti: sul piatto della bilancia per me vincono ancora gli elementi positivi. Ma il peso aumenta se ci si raffronta a colleghi di altre specialità, soprattutto quelli che lavorano al di fuori dell’ospedale o in contesti prevalentemente ambulatoriali: il carico di lavoro è maggiore, la retribuzione pressoché uguale e senza la possibilità di integrare il reddito ricorrendo alla libera professione".

Quindi comprende i medici che lasciano?

"Sì, capisco chi se ne va: immagino che alla lunga le disfunzioni del contesto pesino e il lavoro diventi usurante. Insomma, questi colleghi non mi sembrano alieni. E mi riferisco a tutto il personale, anche infermieri e operatori socio-sanitari: grandi professionisti che sono abituati a gestire le situazioni più disparate, ma posti in condizioni lavorative non ottimali".

Quali criticità ha individuato?

"L’iperafflusso prima di tutto. Arrivano pazienti dal territorio, perché non trovano le risposte che cercano, e poi soffriamo perché non abbiamo a disposizione nei reparti un adeguato numero di posti letto in caso di ricovero. Ma non sono certo io che posso trovare le soluzioni".

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