
Bologna, il volume di don Angelo Baldassarri sui religiosi uccisi durate e dopo il secondo conflitto. Dai crimini nazifascisti ai partigiani rossi. "Non voglio fare l’accusatore, ma raccontare le loro vite".
Hanno fatto del bene senza distinzioni, sapendo che le parrocchie sono come il pronto soccorso. Eppure i sacerdoti durante e dopo la Seconda guerra mondiale hanno pagato un tributo di sangue altissimo, uccisi dai nazifascisti ma anche dai partigiani comunisti, soprattutto in Emilia-Romagna. Nell’anniversario degli ottanta anni dalla Liberazione don Angelo Baldassarri, parroco di Santa Rita a Bologna, ricorda questo capitolo di sangue in un libro dal titolo "L’ora di disarmare i cuori", che raccoglie la contabilità delle vittime e le loro storie nella Diocesi di Bologna.
Don Angelo, il titolo del libro riprende le parole di Papa Leone XIV. "È un caso, il titolo l’ho pensato prima dell’elezione di Papa Robert Francis Prevost. Ne sono orgoglioso".
Cosa l’ha spinta ad avventurarsi in queste storie? "Sono un appassionato di storia. Ho studiato la strage nazista di Monte Sole. Così ho deciso di riportare alla luce le vicende dei tanti sacerdoti vittime di odio".
Quali sono le cifre? "I preti bolognesi uccisi durante e dopo la guerra sono 26".
Quali sono quelli che hanno perso la vita durante il conflitto? "Don Dogali Busi, parroco di Pioppe di Salvaro, muore mentre assiste i soldati in Jugoslavia, cinque muoiono per i bombardamenti e gli attacchi degli Alleati, dieci sono uccisi dai tedeschi, cinque nella strage di Monte Sole. Due sono assassinati dagli italiani: don Mauro Fornasari, dalla Gnr, don Corrado Bortolini, parroco di Santa Maria Induno, prelevato il primo marzo 1945 in canonica e processato dal Cln".
E dopo il 21 aprile, giorno della Liberazione di Bologna? "Nelle prime settimane scatta la rabbia di chi forse vuol farsi giustizia da solo. Così viene assassinato don Domenico Gianni, parroco di San Vitale di Reno, il 24 aprile 1945. Il suo corpo viene gettato in una fossa comune con dei soldati tedeschi. Poi tocca a don Enrico Donati di San Giacomo di Lorenzatico, il 13 maggio 1945".
Poi agirono i nuclei di partigiani rossi. "Esatto. Muore don Giuseppe Tarozzi, parroco a San Pietro di Riolo, a Castelfranco Emilia di Modena, ma Diocesi di Bologna. Viene prelevato il 25 maggio 1945 e si dice che il corpo sia stato bruciato in un forno; don Raffaele Bortolini, parroco a San Giovanni Battista di Dosso, ammazzato il 20 giugno 1945; don Achille Filippi, parroco a San Giovanni Battista di Maiola, ucciso il 25 luglio 1945. A dicembre 1945 tocca a don Alfonso Reggiani nell’anniversario del rastrellamento nazifascista di Amola. Don Giuseppe Rasori, parroco a San Martino in Casola, viene ucciso il 2 luglio 1946 forse per tensioni personali con un partigiano".
Che fonti ha utilizzato? "Prevalentemente gli archivi delle parrocchie e della Diocesi di Bologna, dove ho trovato lettere e documenti inediti. Lo scopo non è vestire il ruolo dell’accusatore, ma attraverso la memoria far emergere la vita dei sacerdoti uccisi".
Nei singoli casi sono venute alla luce le motivazioni dei delitti? "Non per tutti. L’atteggiamento dei religiosi era diverso a seconda dei ruoli. Ma i preti fanno i preti. Il cardinale suggeriva di mantenere equilibrio e di aiutare la gente, ma era difficile non esporsi. Il parroco di Varignana fu fatto fuori perché predicava contro Mussolini, uno dei religiosi di Monte Sole avvertiva i residenti dei rischi per le ‘corbellerie’ dei partigiani".
Poi c’erano i sacerdoti che amministravano immobili, spesso malvisti. "È il caso di don Tarozzi di Castelfranco. Gestiva terreni della Curia e fu visto come una figura padronale compromessa con le istituzioni fasciste. Ebbe contrasti con alcuni mezzadri e anche questo aspetto gli costò caro".
Il Pci ordinava i delitti? "Non ne ho le prove. È certo però che il Partito comunista aiutò molti partigiani accusati di omicidi ad espatriare all’estero per evitare il carcere".