La lunga notte dei corrieri in scooter

Giorgio

Comaschi

Basta mettersi in macchina a Bologna dopo le otto e mezza-nove. Se i corrierini sono su un monopattino non li senti neanche, sono scuri, intabarrati, inscufflati, non hanno un volto, vedi solo un cubo colorato che passa. Oppure alla guida di scooter, quasi sempre scalcagnati, vecchi, che lasciano una scia di olio bruciato perché la carburazione è una chimera lontana. Non cercate di decifrare un loro tragitto. Sono imprevedibili. Sbucano ovunque, da sotto un portico, da un senso unico, da una pedonale, attraversano incroci, zigzagano nelle stradine del centro, compaiono dal nulla, sterzano all’improvviso, come un volo impazzito di moschini sotto la luce di una lampada. Il livello di pericolosità, a quell’ora, in strada, è ai picchi massimi. Perché metteteci: la gente che guida mentre è fissa al telefono a scrollare Facebook o Instagram o a rispondere alle infinite chat dei gruppi che imperversano, più queste api operaie che volano come impazzite per consegnare una pizza, un piatto caldo, un cartone di qualcosa. E la notte in città è una fantastica carambola di gente che si sfiora, che si taglia la strada, che rischia, che frena, che si mette di traverso e che si manda a quel paese, con la differenza che l’insulto viene pronunciato in due lingue: "Macchecazz..cretino, stai a destraaa!". E la risposta è: "Acramel caz kramel culuz!", pronunciato da sotto un passamontagna in cui si vede solo un paio di occhi spiritati. La lunga note dei cubi colorati che rischiano la vita a 10 euro l’ora (se va bene) e noi tutti seduti, mezzi addormentati, davanti alla Casa di Carta. Che sia un po’ cambiata Bologna? Boh.

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